Obbligo sostituzione del boccaglio dell’etilometro tra le due misurazioni

Tag 19 Agosto 2022  |

Durante l’accertamento dello  stato  di  ebbrezza, non sussiste l’obbligo di sostituzione del boccaglio dell’etilometro tra la prima e la seconda rilevazione, effettuate nei confronti del medesimo soggetto. Quanto previsto dal punto 3.6.1 dell’allegato unico al decreto del Ministro dei trasporti, 22 maggio 1990, n. 196, si riferisce a motivi sanitari e finalizzato ad evitare la trasmissione di malattie. Pertanto, l’obbligo di sostituzione del boccaglio riguarda l’esecuzione del controllo su persone diverse.

Cassazione penale Sez. IV Sentenza del 24/06/2021, n. 34342

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MENICHETTI Carla – Presidente –

Dott. ESPOSITO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.C.F.M., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 25/11/2019 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALDO ESPOSITO;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Mignolo Olga, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo del 31 gennaio 2019, con cui B.C.F.M. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi sei di arresto e di Euro quattromila di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. C), comma 2-sexies, perchè alle ore 04.00 circa in (OMISSIS), guidava l’autoveicolo Porsche Cayman, tg. (OMISSIS) in stato di ebbrezza conseguente all’uso di bevande alcoliche, con un valore accertato corrispondente ad un tasso alcolemico pari a 1.81 gli e 1.74 g/l (comunque superiore a 1,5 g/l) – con l’aggravante di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2-sexies, per aver commesso il fatto dopo le ore 22.00 e prima delle ore 7.00 del giorno successivo – in (OMISSIS) il (OMISSIS).

1.1. In ordine alla ricostruzione della vicenda criminosa, il Tribunale aveva evidenziato che, secondo il racconto del teste C.G., in servizio presso la Polizia Stradale di Bergamo, la sera del (OMISSIS), nell’ambito di una serie di controlli a campione, unitamente ai colleghi aveva provveduto a fermare e, quindi, a sottoporre a controllo un autoveicolo alla guida del quale era stato identificato B.C.F.M..

Il B., secondo quanto riferito dal teste e riportato nel verbale, procedeva con un’andatura del veicolo molto incerta e presentava occhi lucidi, nonchè forte alito vinoso; lo stesso peraltro aveva difficoltà di linguaggio. Per tale motivo, era stato sottoposto prima al controllo mediante il precursore, alcol-blow e, stante l’esito positivo, a teste alcolimetrico, previo avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore, facoltà di cui non si era avvalso.

Il teste di P.G. dichiarava di non ricordare se tra la prima e la seconda misurazione fosse stato sostituito il boccaglio, precisando che, in ogni caso, si trattava di elemento ininfluente rispetto all’esito dell’accertamento mediante etilometro. Tale circostanza, peraltro, era stata rappresentata dallo stesso imputato nell’immediatezza dei fatti, come emerge dal verbale di dichiarazioni spontanee del (OMISSIS).

Le misurazioni erano state effettuate correttamente, apparendo irrilevante la mancata sostituzione del boccaglio utilizzato tra la prima e la seconda prova. Tale circostanza, non ricordata dall’operante, ma segnalata dall’imputato nell’immediatezza dei fatti, era del tutto ininfluente rispetto all’affidabilità degli esiti tecnici dell’accertamento eseguito mediante etilometro.

Ai sensi dell’art. 379 reg. att. C.d.S., comma 2 e dei decreti attuativi, con specifico riferimento agli artt. 3.6 e 10.1 dell’allegato al D.M. n. 196 del 1990, è prescritta la sostituzione del boccaglio utilizzato per il test tra le due misurazioni. La ratio di tale previsione risiede in ragioni di carattere igienico-sanitario, per cui essa non può influire sull’esito dell’accertamento tecnico disposto; tale imposizione è a fortiori irrilevante ove le misurazioni siano eseguite nei confronti dello stesso soggetto. Ne consegue che il vizio evidenziato dalla difesa non ha avuto nessuna influenza sull’accertamento disposto.

Peraltro, la sussistenza di un evidente stato di ebbrezza dell’imputato emerge anche dalle altre risultanze istruttorie e, in via segnata, dalla riscontrata presenza di elementi sintomatici quali il forte alito vinoso, le difficoltà di linguaggio e di deambulazione evidenziati dal teste e nel verbale. Gli operanti hanno sul punto altresì evidenziato di aver notato che il veicolo procedeva in modo molto incerto.

Quanto al trattamento sanzionatorio, il Tribunale ha effettuato il seguente calcolo di pena: pena base di 9 mesi di arresto ed Euro 2.000 di ammenda; aumentata per l’aggravante di cui al comma 2-sexies alla pena di 9 mesi di arresto e 3.000 Euro di ammenda; ridotta ai sensi dell’art. 62 bis c.p. alla pena finale di 6 mesi di arresto e 4.000 Euro di ammenda.

In considerazione delle modalità complessive della condotta, dell’elevato tasso riscontrato, nonchè del precedente specifico (conclusosi con estinzione per il buon esito della messa alla prova) e della conseguente impossibilità di formulare una prognosi favorevole in ordine al fatto che l’imputato si sarebbe astenuto dalla commissione di ulteriori reati, il Tribunale non ha concesso i benefici di legge.

1.2. In ordine alla tematica del mancato cambio del boccaglio, la Corte di appello ha sottolineato che, come confermato dalla rubrica del punto 3.6 dell’allegato al D.M. n. 196 del 1990 (Igiene), la sostituzione attiene a motivi sanitari e mira ad evitare la trasmissione di virus, batteri e malattie, sicchè non riguarda l’esecuzione del controllo nei confronti della medesima persona. Inoltre, eventuali anomalie di funzionamento del boccaglio, conseguenti alla precedente misurazione, devono essere evitate, come si desume dal punto 10.1 dell’allegato al D.M. in esame, grazie alla conformazione dello strumento e non alla sua sostituzione nel corso delle misurazioni. Infatti, ove fosse prescritta la sostituzione del boccaglio per ogni misurazione nei confronti dello stesso individuo, le regole di cui al punto 10.1 sarebbero del tutto superflue e prive di senso.

Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale ha condiviso le ragioni per le quali il Tribunale si era discostato dal minimo edittale (condizioni fisiche dell’imputato, pericolo arrecato in quanto il veicolo procedeva con andatura incerta), apparendo la pena finale proporzionata al fatto nella sua gravità.

In ordine al calcolo della pena va rilevato che la pena pecuniaria è stata indicata in maniera erronea. Peraltro, nel contrasto tra dispositivo e motivazione (nella quale, peraltro, è ribadito che la pena finale è pari mesi 9 di arresto ed Euro 4.000 di ammenda) deve prevalere la prima. Evidentemente, nell’effettuare il calcolo, era stata erroneamente indicata la pena base da cui era partito il calcolo non in linea con l’affermato scostamento dal minimo edittale. Il calcolo, pertanto, doveva essere rettificato, indicando la pena base di mesi 9 di arresto ed Euro 4.000 di ammenda, aumentata per la circostanza aggravante a mesi 9 di arresto ed Euro 6.000 di ammenda e ridotta a mesi 6 di arresto ed Euro 4.000 di ammenda per le generiche.

In ordine alla richiesta di sostituzione della pena col lavoro di pubblica utilità, si è sottolineato che essa, ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, da compiersi secondo i criteri dettati dall’art. 133 c.p..

2. Il B., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.

2.1. Violazione di legge con riferimento al combinato disposto dei punti 3.6 e 10.1 dell’allegato al D.M. n. 196 del 1990, che prescrive il cambio del boccaglio dell’etilometro a soffio dopo ogni misurazione. Conseguente inosservanza dell’art. 379 reg. att. C.d.S. per irregolarità della seconda misurazione alcolemica eseguita senza preventiva sostituzione del boccaglio utilizzato per la prima rilevazione.

Si deduce che l’accertamento dello stato di ebbrezza del B. era stato determinato con etilometro a soffio a seguito di due misurazioni effettuate utilizzando il medesimo boccaglio, cioè senza sostituirlo tra la prima e la seconda rilevazione. La mancata sostituzione integra una violazione delle norme contenute nel “regolamento recante individuazioni degli strumenti e delle procedure per l’accertamento dello stato di ebbrezza” emanato col D.M. 22 maggio 1990, n. 196. La ratio sottostante al citato art. 3.6 dell’allegato al D.M. n. 196 del 1990 – che impone il cambio di boccaglio ad ogni misurazione spirometrica-non è rinvenibile solo ed esclusivamente in una questione igienica, ma anche nell’esigenza di scongiurare il rischio che i residui di precedenti misurazioni spirometriche compromettano l’attendibilità del valore rilevato con la seconda prova. Tale interpretazione è corroborata da due considerazioni: 1) l’utilizzazione nel decreto ministeriale del termine “misurazione” lascia ragionevole ritenere necessario il cambio del boccaglio dopo ogni utilizzo dell’etilometro, a prescindere dall’identità del soggetto da sottoporre all’accertamento; 2) l’indicazione di cui al successivo punto 10.1 dell’allegato al D.M. n. 196 del 1990, che, alla voce “boccagli” prevede: “… il boccaglio non deve permettere all’utilizzatore d’inspirare aria contaminata delle precedenti utilizzazioni” e “il boccaglio deve impedire il deposito nello strumento delle goccioline presenti nell’aria espirata”, dimostra che lo scopo di tali disposizioni è anche quello di garantire la genuinità della prova scientifica.

2.2. Erronea applicazione dell’art. 130 c.p.p. in relazione alla mancata correzione dell’errore materiale relativo all’entità della riduzione di pena disposta in applicazione delle attenuanti generiche. Illogicità della motivazione della sentenza, nella parte in cui rettifica il calcolo della ammenda in senso peggiorativo rispetto a quanto statuito dal Giudice di primo grado ovvero partendo da una pena base superiore a quella determinata con la sentenza di primo grado.

Si rileva che il Tribunale era incorso in un evidente errore, in quanto – muovendo dalla pena base di mesi 9 di arresto ed Euro 2.000 di ammenda – aveva operato un aumento ex art. 186 C.d.S., comma 2-sexies, alla pena di mesi 9 di arresto ed Euro 3.000 di ammenda ed, infine, operata la riduzione per le attenuanti generiche, era pervenuto ad una pena finale pari a mesi sei di arresto ed Euro 4.000 di ammenda. Il Tribunale, quindi, aveva operato un illegittimo aumento della pena pecuniaria per effetto dell’applicazione delle attenuanti generiche. A fronte delle censure difensive, la Corte territoriale ha riconosciuto, ma non ha corretto tale errore, adottando una soluzione in violazione del principio del divieto di reformatio in peius.

2.3. Violazione dell’art. 186 C.d.S., comma 9 bis ed illogicità della motivazione posta a sostegno della scelta di rigettare la richiesta di conversione della pena nella sanzione sostitutiva dei lavori di pubblica utilità.

Si osserva che nella sentenza impugnata si è erroneamente affermato che l’imputato non poteva ottenere la conversione della pena nei lavori di pubblica utilità, valorizzandosi negativamente una pronuncia di estinzione del reato per buon esito della messa alla prova, nonostante tale provvedimento non postuli un accertamento di responsabilità dell’imputato. La Corte di appello ha ulteriormente motivato la mancata conversione della pena, affermando che la stessa non avrebbe effetto risocializzante proprio in ragione della pregressa esperienza giudiziaria del B.. A sostegno di tale decisione, la Corte bresciana ha richiamato una pronuncia della Cassazione che afferma il carattere discrezionale dell’applicazione dei lavori di pubblica utilità nonostante la sussistenza di plurime pronunzie in senso contrario. Qualora non si ritenesse di accogliere la soluzione più garantista, la questione dovrebbe essere rimessa al vaglio delle Sezioni Unite ex art. 618 c.p.p..

2.4. Violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 5, in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Si censura la mancata attivazione da parte della Corte bresciana dei poteri officiosi di concessione della pena condizionalmente sospesa. Stante l’incompatibilità logica esistente tra i due istituti, con l’atto di appello non si chiedeva la concessione della sospensione condizionale in quanto si formulava istanza di conversione della pena nei lavori di pubblica utilità. La Corte di merito, in conseguenza del rigetto della richiesta di applicazione di lavori di pubblica utilità, aveva il potere-dovere di verificare la sussistenza o meno i presupposti per la concessione ex art. 597 c.p.p., comma 5, del beneficio in questione. Sussistevano i requisiti normativamente previsti per la concessione del beneficio, atteso lo stato di incensuratezza dell’imputato, il comportamento collaborativo assunto nell’immediatezza del fatto (evidenziato, peraltro, nella motivazione di entrambe le sentenze di merito) e l’effetto deterrente collegato alla possibile revoca del beneficio in caso di ricaduta nel reato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato in relazione al trattamento sanzionatorio e manifestamente infondato nel resto.

2. Il primo motivo di ricorso, con cui si deduce che la normativa del Codice della Strada impone la sostituzione del boccaglio prima di procedere alla seconda misurazione del test alcolimetrico, è infondato.

La disciplina in esame, infatti, non impone la sostituzione del boccaglio, ai fini delle rilevazioni dello stato di ebbrezza, laddove si proceda nei confronti del medesimo individuo (Sez. 4, n. 41907 del 03/07/2018, Ranieri, non massimata).

Come confermato dalla rubrica del punto 3.6 dell’allegato al D.M. n. 196 del 1990 (“Igiene”), la sostituzione attiene a motivi sanitari e mira ad evitare la trasmissione di virus, batteri e malattie, sicchè non riguarda l’esecuzione del controllo nei confronti della medesima persona. A ciò va aggiunto che eventuali anomalie di funzionamento del boccaglio, conseguenti alla precedente misurazione, devono essere evitate, come si desume dal punto 10.1 dell’allegato al D.M. in esame, grazie alla conformazione dello strumento e non alla sua sostituzione nel corso delle operazioni (Punto 10.1. Funzioni: il boccaglio non deve permettere all’utilizzatore d’inspirare aria contaminata delle precedenti utilizzazioni).

(Il boccaglio deve impedire il deposito nello strumento delle goccioline presenti nell’aria espirata). Può, difatti, evidenziarsi che, ove fosse prescritta la sostituzione del boccaglio per ogni misurazione nei confronti dello stesso individuo, le regole di cui al punto 10.1 sarebbero del tutto superflue e prive di senso.

La disposizione che si assume violata attiene alla sola garanzia dell’igiene, tale da rendere necessario il cambio del presidio solo tra diversi individui, essendo stato altresì garantito un intervallo di tempo le due misurazioni rispettoso dei minimi regolamentari (Sez. 4, n. 26168 del 19/05/2016, Da Rin, Rv. 267377).

3. Il secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole dell’entità di pena irrogata dalla Corte di appello in violazione del divieto di reformatio in peius, è fondato.

Prima di procedere all’esame della specifica questione sottoposta al vaglio di questa Corte, occorre evidenziare in linea generale che, in tema di commisurazione della pena in grado di appello, sussiste un contrasto mai sopito tra due orientamenti giurisprudenziali diametralmente opposti.

In base ad un primo indirizzo giurisprudenziale improntato a maggior rigore, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato concerne esclusivamente l’entità complessiva della pena (Sez. 5, n. 15130 del 03/03/2020, Diop, Rv. 279086; Sez. 5, n. 1281 del 12/11/2018, dep. 2019, Melone, Rv. 274390; Sez. 2, n. 33563 del 14/07/2016, Canzonieri, Rv. 267858; Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653).

Un secondo orientamento, basato anche sul contenuto della Relazione Preliminare al vigente codice processuale, riconosce che il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda unicamente l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione (Sez. 2, n. 41933 del 03/04/2017, Brajdic, Rv. 271182; Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, William Morales, Rv. 232066).

In realtà, tale distinzione tra orientamenti contrapposti rappresenta solo una schematizzazione sintetica di pronunzie, riguardanti variegate fattispecie concrete nelle quali il giudice di secondo grado escludeva circostanze aggravanti, assolveva per taluni reati in cumulo materiale o in continuazione tra loro oppure li riqualificava in melius.

In materia, va richiamata la norma in tema di impugnazioni, prevista dall’art. 597 c.p.p., comma 3, secondo cui, quando il gravame viene proposto dall’imputato, non si può modificare in peggio la pena prevista dalla precedente decisione di condanna e non può essere irrogata una sanzione più grave per specie o per quantità. Il successivo comma 4 dispone che se è accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è corrispondentemente diminuita.

Tali disposizioni costituiscono espressione del principio di portata generale del divieto di modificare in peggio la punizione e che conseguentemente impone al giudice di diminuire la pena complessiva in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione.

Le diminuzioni vanno rapportate all’accoglimento dei motivi dell’imputato relativi a reati concorrenti o a circostanze attenuanti. Le componenti che definiscono la pena sono tra loro autonome e distinte da quella principale e il giudice non può intervenire su capi o su punti non coinvolti dalle rimostranze dei contendenti processuali (si ricorda, peraltro, che nella fattispecie il pubblico ministero non presentava appello).

Il legislatore ha inteso evitare proprio l’elusione di questa clausola di garanzia nelle applicazioni pratiche, dato che, con l’abrogato art. 515 c.p.p. 1930, essa era valutata solo per quanto complessivamente inflitto, col conseguente rischio di disarmonia del sistema in caso di accoglimento dell’appello in punto di riconoscimento di circostanze attenuanti, di esclusione di circostanze aggravanti, di riqualificazione in melius di reati o di altri profili comunque incidenti sulla commisurazione della pena.

Quale logica conseguenza dell’inquadramento sistematico dell’istituto, deriva l’impossibilità di intervenire in senso peggiorativo relativamente ai singoli parametri di commisurazione di ciascun segmento della pena nel rispetto del principio del divieto della reformatio in peius, riguardante tutte le componenti della pena.

Nella fattispecie in esame, il Tribunale aveva effettuato un calcolo della pena pecuniaria errato, perchè, nella parte dell’operazione per il calcolo, in cui avrebbe dovuto procedere alla riduzione per le circostanze attenuanti generiche, aveva addirittura aumentato l’ammenda.

La Corte di appello, per pervenire alla medesima pena finale, ha erroneamente ipotizzato che il giudice di primo grado avesse indicato quale pena base del calcolo una sanzione più elevata di quella riportata in sentenza e che nel contrasto tra motivazione e dispositivo dovesse darsi prevalenza a quest’ultimo. In realtà, non vi sono elementi per desumere le modalità di determinazione della pena da parte del Tribunale, per cui deve ritenersi che la Corte di merito abbia semplicemente effettuato un nuovo calcolo partendo da una pena base più elevata, in violazione del divieto della reformatio in peius, che, secondo l’interpretazione alla quale sì ritiene di aderire, riguarda tutte le componenti della pena.

Ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l), è possibile rideterminare la pena pecuniaria in Euro duemila di ammenda.

4. Il terzo motivo di ricorso, con cui la difesa si duole della mancata applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità è manifestamente infondato.

Tenuto conto della commissione di analogo reato il (OMISSIS) (reato poi dichiarato estinto per esito positivo della messa alla prova) e del nuovo reato perpetrato a pochi mesi di distanza dal primo, la Corte di merito, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha escluso la possibilità di sostituire la pena inflitta col lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, escludendo che potesse sortire l’effetto risocializzante voluto per la refrattarietà mostrata dall’imputato nel rispettare le norme sulla circolazione stradale.

La valutazione, quindi, è stata compiuta mediante il richiamo a fattori indicativi della pericolosità del B., desumibili dal precedente penale e dall’insofferenza manifestata verso le prescrizioni dell’autorità giudiziaria.

La Corte territoriale, quindi, ha correttamente applicato il principio affermato dalla giurisprudenza prevalente di questa Corte, secondo cui la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, da compiersi secondo i criteri dettati dall’art. 133 c.p. (Sez. 4, n. 7560 del 14/01/2020, Bene-venti, non massimata; Sez. 4, n. 13466 del 17/01/2017, Pacchioli, Rv. 269396; Sez. 4, n. 1015 del 10/12/2015, dep. 2016, Santori, Rv. 265799).

5. Il quarto motivo di ricorso, con cui si rileva il difetto di motivazione in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale, è manifestamente infondato.

La richiesta della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, infatti, implica la tacita rinuncia al beneficio della sospensione condizionale della pena eventualmente concesso in precedenza, stante la incompatibilità tra i due istituti (Sez. 4, n. 36783 del 09/12/2020, Caltis, Rv. 280086). Ne consegue che la Corte di appello non era tenuta a motivare in ordine al diniego del beneficio della sospensione condizionale.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena dell’ammenda che ridetermina in Euro duemila. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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