Niente IVA per gli utili percepiti dall’associato nel contratto di associazione

[massima]

La sentenza afferma che la quota di utili percepita dall’associato il quale è chiamato a prestare attività lavorativa all’interno di un contratto di associazione in partecipazione non è suscettibile di essere assoggettata ad IVA.

La conclusione deriva dall’assimilazione quoad effectum, sotto il profilo fiscale, della prestazione dell’attività lavorativa dell’associato al conferimento in associazione alla distribuzione degli utili fra i soci.

Cass. civ. Sez. V, 15/11/2013, n. 25701

 

 

[intestaz]

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE TRIBUTARIA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

 

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

 

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

 

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

 

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso iscritto al numero 26903 del ruolo generale dell’anno 2007, proposto da:

 

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’avvocatura dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia;

 

– ricorrente –

 

contro

 

F.G., rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del controricorso, dall’avv. Pelargonio Irene Elettra, con la quale elettivamente domicilia in Roma, alla piazza Bartolomeo Gastaldi, n. 1, presso lo studio dell’avv. Ilaria Gioffrè;

 

– controricorrente –

 

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, sezione 32, depositata in data 5 luglio 2007, n. 18/32/07;

 

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 8 ottobre 2013 dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

 

udito per l’Agenzia l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello;

 

udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per la rimessione alle sezioni unite e, in subordine, per l’accoglimento.

 

 

 

[fatto]

F.G., a seguito di un processo verbale di constatazione della guardia di finanza, ricevette un avviso di accertamento col quale l’Agenzia delle entrate gli contestò, in relazione all’anno d’imposta 1997, di non aver emesso fatture per operazioni imponibili e di non aver presentato la dichiarazione annuale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto in relazione alle attività da lui svolte in favore di s.p.a. S.AI.PI in esecuzione di un contratto di associazione in partecipazione, irrogandogli altresì le relative sanzioni.

 

Il contribuente impugnò l’avviso, con ricorso, che fu respinto dalla Commissione tributaria provinciale, là dove la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto da F..

 

Ricorre l’Agenzia delle entrate per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso ad un unico motivo.

 

Resiste con controricorso il contribuente.

 

 

 

[diritto]

1.- Con l’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate si duole della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 5, degli artt. 44 e 53 D.P.R. n. 917 del 1986 e del D.L. n. 282 del 2002, art. 5, sostenendo che siano assoggettate ad IVA tutte le prestazioni di lavoro fornite come unico apporto dall’associato in partecipazione prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 282 del 2002, art. 5, al quale non può essere assegnata efficacia retroattiva.

 

1.1- Formulato in questa maniera, il quesito di diritto che correda il motivo di ricorso coglie pienamente ed in maniera esauriente, così evidenziando l’infondatezza delle eccezioni d’inammissibilità mosse in controricorso, la ratio decidendi della sentenza impugnata.

 

Ratio che, escludendo che l’attività svolta dall’associato abbia natura imprenditoriale, professionale o comunque di lavoro autonomo, ha in conseguenza assegnato al D.L. n. 282 del 2002, art. 5, comma 1bis, introdotto dalla L. di Conversione n. 27 del 2003 (il quale, interpolando il primo periodo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 5, comma 2, ha aggiunto il riferimento al”le prestazioni di lavoro effettuate dagli associati nell’ambito dei contratti di associazione in partecipazione di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 2, lett. c), del testo unico delle imposte sui redditi…, rese da soggetti che non esercitano per professione abituale altre attività di lavoro autonomo”), natura chiarificatrice anche della situazione normativa previgente.

 

2.- Benchè ammissibile, il motivo di ricorso è infondato.

 

2.1.-La Corte ha avuto occasione di affermare che, anche nel regime antecedente all’interpolazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 5, dovuta al D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 5, comma 1bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2003, n. 27, non era possibile reputare assoggettabile ad iva la quota di utili percepita dall’associato chiamato a prestare attività lavorativa in seno al contratto di associazione in partecipazione e ciò in ragione dell’assimilazione quoad effectum della prestazione dell’attività lavorativa dell’associato al conferimento in associazione, equiparabile sotto il profilo fiscale, alla distribuzione degli utili fra i soci (Cass. 2 luglio 1998, n. 6466; conforme, in motivazione, Cass. 25 febbraio 2010, n. 4588).

 

2.2.-La tesi non trova riscontro in altro orientamento della prima sezione civile della Corte (vedi, fra varie, Cass. 28 ottobre 2011, n. 22521) e non ha avuto soverchio successo in dottrina (da conto di critiche a tale orientamento anche Cass. 13 settembre 2013, n. 20977 resa da questa sezione), in quanto, si è obiettato, l’apporto dell’associato non concorre a formare un fondo comune, non incrementa i mezzi a disposizione dell’assodante, finanziando l’esercizio della sua impresa.

 

3.- Ciononostante, e indipendentemente dalla fondatezza delle critiche in questione, anche antecedentemente alla novella apportata dal D.L. n. 282 del 2002, art. 5, comma 1bis, come convertito, l’apporto dell’associato consistente nella prestazione di lavoro sembra esulare dal novero delle attività imponibili.

 

Il che esclude la necessità della rimessione alle sezioni unite richiesta dal sostituto procuratore generale.

 

3.1.- Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1 configura come operazioni imponibili, ai fini iva, le “cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti o professioni…”.

 

3.2.- Ciò posto, l’art. 4 della sesta direttiva stabilisce, al primo paragrafo, che “si considera soggetto passivo chiunque esercita in maniera indipendente e in qualsiasi luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività”, precisando, al quarto paragrafo, che “l’espressione in modo indipendente di cui al paragrafo 1, esclude dall’imposizione i lavoratori dipendenti ed altre persone se essi sono vincolati al rispettivo datore di lavoro da un contratto di lavoro subordinato o da qualsiasi altro rapporto giuridico che introduca vincoli di subordinazione in relazione alle condizioni di lavoro e di retribuzione ed alla responsabilità del datore di lavoro”.

 

3.3.-Al riguardo, la Corte di giustizia ha chiarito, ai fini dell’individuazione del soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto, che “…un vincolo di subordinazione non sussiste qualora gli interessati sopportino il rischio della loro attività” (Corte giust. 25 luglio 1991, C-202/90, Ayuntamiento de Sevilla, punto 13;

 

Corte giust. 18 ottobre 2007, C-355/06, J.a. Van der Steen, punto 24).

 

3.4.- Il che, nel caso in questione, conduce ad escludere la soggettività passiva del ricorrente, il quale, in base alla configurazione giuridica del contratto di associazione in partecipazione, si limita a prestare attività lavorativa, là dove l’affare o l’impresa, con i relativi rischi, restano di esclusiva pertinenza dell’assodante: difetti, “la gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’assodante” (art. 2552 c.c., comma 1); “i terzi acquistano diritti e assumono obbligazioni soltanto verso l’assodante” (art. 2551 c.c.), di guisa che l’associato può pretendere unicamente che gli sia liquidata e pagata una somma di denaro corrispondente alla quota spettante degli utili dell’impresa dell’assodante (ex art. 2549 c.c.) e all’apporto (in termini, Cass. 24 giugno 2011, n. 13968).

 

4.- Effettivamente, allora, l’interpolazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 5 ha valenza chiarificatrice del quadro normativo applicabile alla prestazione di attività lavorativa dell’associato.

 

5.-Il ricorso va in conseguenza respinto.

 

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte:

 

-respinge il ricorso;

 

-condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate in Euro 2500,00, oltre ad Euro 200,00 per spese ed oneri di legge.

 

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 8 ottobre 2013.

 

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2013

 

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