La negligenza dell’utente stradale esclude l’insidia stradale

Tag 21 Dicembre 2021  |

È necessario valutare in concreto se la situazione di pericolo poteva in concreto essere superata adottando le normali cautele da parte del danneggiato.

Questo valutazione ci permette di comprendere il dinamismo causale del danno e pertanto arrivare anche ad escludere il nesso di causalità tra cosa in custodia ex art. 2051 c.c. e l’evento lesivo.

Corte d’Appello Napoli Sez. IV, Sent., 03-07-2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Napoli – IV sezione civile – riunita in camera di consiglio nelle persone dei seguenti magistrati:

Dott. Marzia Consiglio – Presidente

Dott. Margherita D’Amore – Consigliere

Dott. Federico Lume – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 3867/2015 del Ruolo Generale degli affari contenziosi, riservata in decisione all’udienza del 26/3/2019, avente ad oggetto appello contro la sentenza n. 25/2015 del 26.1.2015 del Tribunale di Avellino, vertente

TRA

G.G. (c.f. (…)), rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Esposito e dall’avv. Luigia Del Guercio in forza di procura a margine dell’atto di appello ed elettivamente domiciliato presso i medesimi, in Calabritto alla via Roma n. 7

APPELLANTE

E

COMUNE DI CALABRITTO (c.f. (…)), in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Luigi Angelo Burdo, in forza di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliato in Calabritto al Viale della Resistenza n.10

APPELLATO

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il giudizio di primo grado.

Con atto di citazione notificato in data 5.4.2013 l’odierno appellante conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Avellino, il Comune di Calabritto chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti ad una caduta occorsa a causa della presenza di una tubazione della condotta idrica pubblica che determinava la fuoriuscita di un’abbondante quantità di acqua sul manto stradale.

In seguito a tale incidente, l’attore, riportando una frattura stiloide ulnare, era stato ricoverato nell’ospedale di Oliveto Citra (SA) per subire l’immobilizzazione in gesso dell’avambraccio.

Il Comune si costituiva resistendo.

All’udienza del 26.1.2015 il giudice di prime cure, esaurita la discussione orale, definiva la causa con sentenza n. 25/2015 emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. rigettando la domanda e condannando l’attore al rimborso delle spese processuali in favore del Comune di Calabritto, liquidate in Euro 1.500,00 per compensi del difensore, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge.

2. Il giudizio di appello.

Contro tale sentenza proponeva appello il sig. G.G., con atto di citazione in appello notificato in data 24.7.2015.

Si costituiva il Comune di Calabritto, che resisteva.

Acquisito il fascicolo di primo grado, all’udienza del 26.3.2019 la causa era riservata in decisione con assegnazione dei termini ai sensi dell’art. 190 c.p.c.

3. La sentenza appellata.

Il Tribunale di Avellino ha rigettato la domanda di parte attrice.

Ha ritenuto infatti che, dato l’orario e la data in cui si era verificato l’incidente, e cioè prima delle 16 del 28.6.2010, fosse presumibile la presenza di abbondante luce naturale; inoltre ha evidenziato come non risultassero segnalate particolari condizioni impeditive della visuale del manto stradale e nemmeno situazioni soggettive di minorata difesa quali l’età avanzata dell’attore o sue specifiche patologie.

Analizzando poi il materiale fotografico fornito dallo stesso attore, il giudice di primo grado ha considerato che, vista l’estensione e la profondità della pozza d’acqua, questa fosse da reputarsi sicuramente visibile da parte dell’attore che peraltro non era obbligato ad attraversarla, potendo transitare in modo più sicuro o in uno spazio abbastanza prossimo alla pozza, ove vi erano segmenti del manto stradale visibilmente asciutti; ovvero poteva allo stesso modo utilizzare come passaggio il marciapiedi, anch’esso situato vicino alla pozza d’acqua.

Il giudice di prime cure ha quindi escluso la responsabilità del Comune, alla quale era applicabile l’art. 2051 c.c., richiamando orientamento di legittimità per cui, in tema di danno da insidia stradale, quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere superata ricorrendo all’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto maggiore deve considerarsi l’incidenza della condotta imprudente di questi nel dinamismo causale del danno; e ciò fino a

rendere possibile che tale comportamento escluda il nesso di causalità tra cosa in custodia ex art. 2051 c c e l’evento lesivo

4. I motivi di appello.

L’appellante propone un unico motivo di appello con il quale lamenta che il giudice di primo grado sia incorso nella violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.

Questi evidenzia l’assenza di prova offerta dal Comune circa il caso fortuito che non potrebbe neanche essere provato per presunzioni e l’irrilevanza della visibilità della buca nella quale l’attore era caduto.

Evidenzia infatti che l’art. 2051 c.c. richiede la prova di circostanze di fatto che interrompano il nesso eziologico tra il fatto illecito ed il danno laddove il tribunale le aveva solo presunte e che il convenuto non abbia allegato dei comportamenti del danneggiato-attore che abbiano avuto efficienza causale nella produzione dell’evento lesivo.

Chiede, previa ammissione delle prove articolate nella memoria istruttoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., l’accoglimento della domanda.

5. La decisione della Corte.

5.1. Preliminarmente si deve rilevare che l’appellante ha chiesto ammettersi i mezzi di prova indicati nella memoria istruttoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. depositata in primo grado.

La richiesta non è ammissibile mancando del tutto un motivo di appello in ordine all’avvenuto rigetto di detti mezzi prova, operato dal giudice con ordinanza del 29.5.2014 ed implicitamente confermato in sentenza. In nessun punto dell’atto di appello infatti l’appellante si duole della mancata ammissione dei mezzi istruttori (peraltro neanche espressamente riformulati nell’atto medesimo).

5.2. Il motivo di appello relativo al merito non è fondato.

Infatti, pur essendo il Comune quale P.A. responsabile da cose in custodia ex art. 2051 c.c. anche in riferimento ai beni demaniali quale può ritenersi la strada comunale di cui in causa, tuttavia l’amministrazione rimane liberata da tale tipo di responsabilità ove dimostri che l’evento dannoso sia stato determinato da cause estrinseche rispetto alla propria opera di vigilanza, e quindi anche estemporanee ed imprevedibili.

È noto che diffuso orientamento di legittimità (condiviso da questa Corte) ritiene che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., operi anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l’amministrazione liberata dalla medesima responsabilità ove dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili nè eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode (così Cass. Sez. III, Sentenza n. 6101 del 12 marzo 2013; conformi, in precedenza: Sez. III, Sentenza n. 15042 del 6 giugno 2008; Sez. III, Sentenza n. 20427 del 25 luglio 2008; Sez. III, Sentenza n. 8157 del 3 aprile 2009; Sez. III, Sentenza n. 24419 del 19 novembre 2009; Sez. III, Sentenza n. 24529 del 20 novembre 2009; Sez. III, Sentenza n. 15389 del 13 luglio 2011; Sez. III, Sentenza n. 15720 del 18 luglio 2011; Sez. III, Sentenza n. 21508 del 18 ottobre 2011; più di recente, sempre nel medesimo senso, si vedano anche: Cass., Sez. III, Sentenze n. 4768 del 11 marzo 2016, n. 5622 del 22 marzo 2016 e n. 5695 del 23 marzo 2016, non massimate).

Costituisce principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità che un ulteriore elemento che può, poi, condurre all’esclusione della responsabilità della pubblica amministrazione è ravvisabile nella condotta del danneggiato; ed infatti in casi siffatti la condotta del danneggiato elide il nesso eziologico tra cosa e danno “ove possa qualificarsi come abnorme, ossia estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto; fermo restando che, in caso contrario, essa rileva ai fini del concorso nella causazione dell’evento, a norma dell’art. 1227 c.c. “(di recente per es. Cass. civ., sez. III, 29/07/2016, n. 15761).

Quanto all’onere probatorio, sul danneggiato incombe l’onere di provare l’esistenza del rapporto di custodia (eventualmente anche in base a presunzioni semplici) e la derivazione causale del danno evento dalla cosa, mentre sulla pubblica amministrazione grava l’onere di dare la prova liberatoria costituita da un fattore esterno che spezzi il nesso causale presentando i caratteri del fortuito e quindi dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità.

Infine occorre evidenziare che secondo costante giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. civ., Sez. III, Ord., 19/07/2018, n. 19218) in tema di risarcimento del danno, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso (di cui al primo comma dell’art. 1227 c.c., che qui rileva) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché nel primo caso il giudice deve procedere d’ufficio all’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso e solo nel secondo caso si è in presenza di un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede.

Nel caso di specie, in primo luogo, del tutto correttamente il Tribunale ha ritenuto che il comportamento del pedone potesse costituire un fatto interruttivo del nesso causale con ciò conformandosi all’opinione giurisprudenziale assolutamente dominante.

In secondo luogo, il tribunale ha correttamente valutato, senza che occorresse una specifica eccezione di parte, gli elementi istruttori a sua disposizione evidenziando che le condizioni di tempo e luogo consentissero una piena visibilità della strada e che la stessa conformazione dell’asserito pericolo, raffigurato dalle quattro fotografie allegate alla produzione attorea, rappresentanti un complessivo e ampio dissesto del manto stradale evidentemente profondo e ricolmo d’acqua, consentisse ed anzi consigliasse all’utente di evitarne l’attraversamento diretto.

Tutte tali considerazioni concrete relative all’esame delle risultanze istruttorie non risultano peraltro assolutamente censurate nei motivi di appello.

Nel caso di specie, quindi, il danno si è verificato per un evento prevedibile e superabile con l’adeguata diligenza dovuta in base alle circostanze del caso concreto le quali erano tali da far risultare palesi i rischi insorgenti dalla pozza d’acqua. Trattandosi quindi di un pericolo oggettivamente visibile in base alla produzione fotografica di parte attrice e dunque evitabile utilizzando altri percorsi di transito, considerando le condizioni di tempo e di luogo in cui è avvenuto il sinistro, va escluso che il danno sia eziologicamente riconducibile alla pozza in sé ma alla condotta imprudente del danneggiato.

Da tali considerazioni discende il rigetto dell’appello.

6. Le spese della lite.

Alla soccombenza dell’appellante segue la condanna alle spese di lite del grado, liquidate come in dispositivo in forza del D.M. n. 55 del 2014.

Sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 (comma inserito dall’art. 1 comma 17 della L. n. 228 del 2012) secondo il quale “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

P.Q.M.
La Corte di Appello di Napoli – IV sezione civile – definitivamente pronunciando sull’appello proposto da G.G. nei confronti del Comune di Calabritto, avverso la sentenza n. 25/2015 del 26.1.2015 del Tribunale di Avellino, così provvede:

a) rigetta l’appello;

b) condanna G.G. al pagamento in favore del Comune di Calabritto, in persona del l.r.p.t., delle spese processuali del grado di appello, liquidandole in Euro 2.500,00 per compensi oltre spese generali nella misura di Euro 375,00, IVA e CPA se dovute;

c) dà atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento a carico dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato

Così deciso in Napoli camera di consiglio in data 25 giugno 2019.

Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2019.

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