Ecco quando il sottotetto non è del condominio

Tag 22 Dicembre 2013  |

 

[massima]

Al fine di stabilire la natura comune dei beni ubicati nel fabbricato condominiale è necessario verificare il primo atto di disposizione.

Nel caso di specie è opportuno fare riferimento all’atto con cui l’originario unico proprietario aveva alienato la prima unità immobiliare. Difatti, in tale momento, per il tramite della vendita stessa, veniva ad instaurasi il condominio.

Successivamente, i beni condominiali non possono sottrarsi alla loro destinazione originaria.

Cass. civ. Sez. II, 17/12/2013, n. 28141

 

 

 

[intestaz]

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE SECONDA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

 

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

 

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

 

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

 

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso 18980/2006 proposto da:

 

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. CORRIDONI 15 SC. A int. 1, presso lo studio dell’avvocato AGNINO PAOLO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ONORATO ANGELO, ROSSETTI FRANCO;

 

– ricorrente –

 

contro

 

S.C. (OMISSIS), M.B.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo studio dell’avvocato LUDINI ELIO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati BUFFA GIUSEPPE, BUFFA LAURA;

 

– controricorrenti –

 

e contro

 

B.E., + ALTRI OMESSI ;

 

– intimati –

 

avverso la sentenza n. 273/2006 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 14/03/2006;

 

preliminarmente il Consigliere relatore Dott. EMILIO MIGLIUCCI fa presente che l’integrazione del contraddittorio non è andata completamente a buon fine e chiede spiegazioni a riguardo all’Avvocato di parte ricorrente, quindi viene udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/10/2013 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

 

udito l’Avvocato AGNINO PAOLO, difensore del ricorrente, che, per quanto riguarda l’osservazione del Cons. relatore, chiede il rinnovo del termine per l’integrazione del contraddittorio, nel merito si riporta al ricorso;

 

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso ritenendo non necessaria l’integrazione del contraddittorio.

 

 

 

 

[fatto]

1.- Il Condominio di (OMISSIS), conveniva in giudizio M.B.G. e S. C., proprietari dell’appartamento int. 10, per sentirli condannare all’immediato rilascio del sottotetto, di pertinenza condominiale, da loro abusivamente occupato e collegato con il predetto appartamento. Deduceva che il sottotetto era praticabile e destinato alla collocazione del ripartitore centrale dell’impianto idrico, che aveva unicamente accesso dalle scali comuni e non era in comunicazione con alcun bene privato.

 

I convenuti si costituivano in giudizio, opponendosi alle domande attoree e avanzavano domanda riconvenzionale volta al riconoscimento della proprietà esclusiva del locale sottotetto e del diritto di aprire abbaini sullo stesso.

 

Con ordinanza del 9-5-00 il Tribunale di Genova ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini che si costituivano in giudizio comparsa del 18-10-00, aderendo alle domande del Condominio attore. Con sentenza depositata il 27-3-2002, il Tribunale di Genova, in accoglimento della domanda attorea, dichiarava che il locale sottotetto è di proprietà condominiale e per l’effetto condannava M.B.G. e S. C. a rilasciarlo immediatamente.

 

Con sentenza dep. il 14 marzo 2006 la Corte di appello di Genova, in riforma della decisione impugnata dai convenuti, rigettava la domanda proposta dall’attore e, in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava che la porzione di sottotetto sovrastante l’appartamento di proprietà dei convenuti era di proprietà dei medesimi. Secondo i Giudici, assumevano rilevanza il titolo di proprietà dei convenuti del 2/6/1994, in cui il confine della loro proprietà era individuato con il tetto di copertura e quindi non con la soletta in cannicciato che dal basso delimita orizzontalmente il sottotetto: il che era confermato dai titoli di provenienza precedenti, pure prodotti in causa. Del resto, nel regolamento non era indicata fra i beni comuni la camera d’aria esistente tra le falde del tetto e del cannicciato, mentre l’art. 15, comma 6, prevedeva che i condomini degli appartamenti situati all’ultimo piano sono tenuti a concedere il libero passaggio al tetto, ai lastrici solari, agli impianti distributori dell’acqua, quando altrimenti non vi si possa accedere regolarmente. Il sottotetto non è fra le parti comuni di cui all’art. 1117 c.c., nè sussistevano nella specie le caratteristiche oggettive in base al quale potesse ritenersi destinato all’uso comune, anche tenuto conto della non calpestabilità della porzione rivendicata del soffitto in cannicciato e calce e della calpestabilità solo della parte destinata a sorreggere l’impianto idrico, mentre era fra l’altro richiamato anche il principio generale delle pertinenze della proprietà esclusiva.

 

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Condominio di (OMISSIS) sulla base di cinque motivi. Resistono con controricorso gli intimati, depositando memoria illustrativa.

 

Era acquisita la delibera dell’assemblea del Condominio di ratifica dell’operato dell’amministratore relativamente alla proposizione del presente ricorso; veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini facenti parte del Condominio ricorrente: tale ordine era peraltro eseguito soltanto in parte, essendo risultato che due condomini erano deceduti.

 

 

 

[diritto]

Preliminarmente va revocato l’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini disposto dal Collegio, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 1131 c.c., l’amministratore del condominio è legittimato passivamente nelle liti aventi a oggetto le azioni reali relative alle parti comuni, per cui deve ritenersi non necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini. Qui occorre chiarire che il problema dell’integrità del contraddittorio si pone con riferimento alla domanda con la quale in via riconvenzionale i convenuti hanno chiesto l’accertamento della proprietà esclusiva del sottotetto. Ed invero, se non si dubita che, dal lato attivo, non occorre la partecipazione di tutti i condomini nei giudizi promossi a tutela dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni (art. 1130 c.c., n. 4), non diversamente deve ritenersi per quanto concerne la legittimazione passiva dell’amministratore, che è prevista dall’art. 1131 c.c., comma 2, con specifica disposizione dettata in materia di condominio:

 

peraltro, tale legittimazione ha portata generale in quanto estesa a ogni interesse condominiale, essendo la ratio della norma diretta a evitare il gravoso onere a carico del terzo o del condomino, che intenda agire nei confronti del condominio, di evocare in giudizio tutti i condomini; naturalmente, per le cause aventi a oggetto materie che eccedono le attribuzioni dell’amministratore, ai sensi del citato art. 1131 c.c., comma 3, il potere di rappresentanza in giudizio dell’amministratore è subordinato alla autorizzazione a resistere (o anche alla ratifica) da parte dell’assemblea, alla quale l’amministratore è tenuto senza indugio a riferire (S.U. 18331/2010;

 

22294/2004).

 

Tale conclusione non è in contrasto con la recente decisione delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 25454/2013) secondo cui, qualora un condomino agisca per l’accertamento della natura condominiale di un bene, non occorre integrare il contraddittorio nei riguardi degli altri condomini, se il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva, senza formulare, tuttavia, un’apposita domanda riconvenzionale e, quindi, senza mettere in discussione – con finalità di ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato – la comproprietà degli altri soggetti: in effetti, la Corte era stata investita di una controversia fra due condomini, in cui il convenuto aveva proposto una eccezione e non una domanda riconvenzionale con cui era stata invocata la proprietà esclusiva di uno spazio che l’attore aveva rivendicato come condominiale; la questione – circa la legittimazione passiva dell’amministratore ovvero la sussistenza di un litisconsorzio necessario nei confronti di tutti i condomini nel caso in cui sia proposta da un condomino o da un terzo una domanda di accertamento della proprietà esclusiva di un bene condominiale – non è stata in alcun modo esaminata, non assumendo alcun rilievo ai fini della decisione di quel giudizio (sul punto in particolare, v. pag. 4 della citata sentenza).

 

1.- Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., censura la decisione gravata laddove aveva escluso che il locale de quo fosse destinato all’uso comune, quando esso era indicato nel regolamento condominiale come locale del serbatoio dell’acqua e aveva accesso dal vano scala condominiale di servizio ai vari piani; il pavimento era ampiamente calpestabile; non era stato mai accessibile dall’appartamento dei convenuti prima dell’iniziativa da questi posta in essere.

 

La natura condominiale del sottotetto derivava dalla sua destinazione al servizio comune e dall’uso al quale era stato adibito fino dalla costruzione – 1984 – dell’edificio, dovendo escludersi che lo stesso avesse la funzione esclusiva di isolamento e protezione delle singole unità immobiliari.

 

2.- Il secondo motivo, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata laddove aveva escluso la condominialità del sottotetto desumendo il titolo idoneo a escludere l’applicabilità dell’art. 1117 c.c., dagli atti di acquisto prodotti che peraltro iniziavano a decorrere dal 1986 – nei quali l’immobile de quo era dichiarato confinante con il tetto; tali indicazioni non erano in contrasto con quanto risultante dal regolamento condominiale, nel quale fra le parti comuni era menzionato il locale del serbatoio dell’acqua che era per l’appunto ubicato nel sottotetto. Al riguardo, osserva che, in mancanza di un titolo che attribuisca la proprietà esclusiva, il sottotetto rientra nel novero dei beni di cui all’art. 1117 c.c..

 

quando è destinato all’uso comune, mentre costituisce pertinenza dell’appartamento dell’ultimo piano nel caso in cui assolva la funzione di isolare e proteggerlo dal caldo, dal freddo e dall’umidità. La mera indicazione del confine, senza alcuna descrizione specifica del bene, era nella specie inidonea ad attribuire ai convenuti la proprietà esclusiva del sottotetto che, secondo quanto accertato dal consulente di parte attrice, non aveva mai assolto la funzione di camera di aria al servizio dell’appartamento dei predetti; ancora attualmente, i ripartitori dell’acqua erano presenti nel sottotetto che era munito di pavimento calpestabile.

 

3. – Il terzo motivo, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, nel regolamento era descritto come bene comune il locale del serbatoio dell’acqua oggi sostituito dai ripartitori menzionato.

 

4.- Il quarto motivo deduce l’erroneità del riferimento compiuto dai Giudici di appello all’art. 15, comma 6, del regolamento condominiale per desumere l’esistenza di una servitù posta a carico del sottotetto (comprovante la non condominialità), secondo cui i condomini degli appartamenti situati all’ultimo piano sono tenuti a concedere il libero passaggio al tetto, ai lastrici solari, agli impianti distributori dell’acqua, quando altrimenti non vi si possa accedere regolarmente, tenuto conto che nella specie esisteva l’accesso che era possibile attraverso la botola, secondo quanto risultante dalla fotografia in atti.

 

5.- Il quinto motivo denuncia che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto la non calpestabilità del sottotetto quando, secondo quanto accertato dal CTU, era risultato calpestatale per il 50% mentre il residuo non era praticabile in ragione dell’altezza.

 

6.- I motivi – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati.

 

In tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune. Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo.

 

Innanzitutto i Giudici hanno sbrigativamente escluso la destinazione comune del sottotetto, ritenendolo di proprietà esclusiva dei convenuti, senza compiere una sufficiente analisi critica degli elementi di fatto, dei quali pure si fa cenno in sentenza a proposito della esistenza dell’impianto idrico esistente nel sottotetto e della sua parziale calpestabilità. Ancora lacunosa si è rivelata la decisione impugnata laddove non ha compiuto alcuna indagine per verificare se in concreto vi fosse un accesso diretto ed esclusivo al sottotetto dai beni comuni ovvero vi fosse un collegamento diretto con l’appartamento dei convenuti. D’altra parte, appare del tutto inadeguata la motivazione laddove ha ritenuto di potere fondare la esistenza di un titolo idoneo a sottrare comunque il sottotetto dal novero dei beni di cui all’art. 1117 c.c., in base ai titoli di acquisto e al regolamento condominiale. Al riguardo occorre considerare in primo luogo che, al fine di stabilire la natura comune o meno dei beni ubicati nel fabbricato condominiale, sarebbe stato necessario risalire al primo atto con cui l’originario unico proprietario aveva alienato la prima unità immobiliare, dovendo a questo momento ricondursi la nascita del condominio e non potendo successivamente sottrarsi i beni condominiali alla loro destinazione:

 

non risulta che tale accertamento sia stato compiuto dai Giudici i quali hanno fatto riferimento all’atto di acquisto dei convenuti (del 1994) e, in modo assolutamente generico, ai titoli di provenienza precedenti pure prodotti in atti.

 

Peraltro, l’esclusione dal novero dei beni comuni postula una espressa e non equivoca indicazione contenuta nel titolo, mentre le espressioni riportate in sentenza dell’atto di acquisto dei convenuti a proposito della indicazione del confine del loro appartamento con il tetto si appalesano estremamente equivoche in merito a quella che sarebbe stata la volontà contrattuale.

 

Infine, appare tautologico il riferimento all’acquisto delle pertinenze, che evidentemente non sono un modo di acquisto della proprietà, posto che la questione era quella di stabilire preventivamente la natura (comune o meno) del sottotetto.

 

La sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Genova.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Genova.

 

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 ottobre 2013.

 

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2013

 

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