Il provvedimento di autotutela non è sufficiente

Tag 25 Novembre 2013  |

 

[massima]

Nel caso di annullamento in autotutela del provvedimento di diniego di rimborso, si deve evidenziare che tale provvedimento non si traduce nella definitiva realizzazione dell’interesse del contribuente.

Difatti, l’atto di annullamento non contiene l’accertamento relativo al rapporto tributario controverso e alla pretesa sostanziale vantata.

Cass. civ. Sez. V, 15/11/2013, n. 25669

 

 

 

[intestaz]

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE TRIBUTARIA

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

 

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

 

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

 

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

 

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso iscritto al numero 9015 del ruolo generale dell’anno 2012, proposto da:

 

Metrocampania Nordest s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. CIAPPARONI FAUSTO, presso lo studio del quale in Roma, alla via G.B. Morgagni, n. 19 elettivamente domicilia;

 

– ricorrente –

 

contro

 

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’avvocatura dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia e Agenzia delle entrate, direzione provinciale II di Napoli;

 

– controricorrente –

 

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione 47, depositata in data 15 febbraio 2011, numero 17/47/2011;

 

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 8 luglio 2013 dal consigliere Angelina Maria Perrino;

 

uditi per la società l’avv. Fausto Ciapparoni e per l’Agenzia delle entrate l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano;

 

udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto d’interesse e, in subordine, per l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento degli altri.

 

 

 

[fatto]

Metrocampania Nordest s.r.l., subentrata alla Ferrovia Alifana e Benevento-Napoli s.r.l., società integralmente controllata dalla Regione Campania per il tramite del socio unico Ente Autonomo Volturno – EAV s.r.l., è concessionaria per la gestione di un’infrastruttura ferroviaria di trasporto pubblico locale, in base all’atto di concessione del 23 dicembre 2003 stipulato dalla Regione Campania con la s.r.l. Ferrovia Alifana e Benevento-Napoli.

 

La concessione s’inserisce in un ampio progetto regionale di allargamento e di costruzione di una infrastruttura di rete regionale e metropolitana integrata, sia su aree demaniali di sedime ferroviario, sia su beni mobili ed immobili ivi esistenti, dei quali la concessione garantisce al concessionario l’uso gratuito, prevedendo altresì, al suo scadere, l’obbligo del concessionario di restituire i beni affidatigli in concessione nonchè i beni dal concessionario successivamente acquisiti, purchè a totale contributo pubblico.

 

In questo contesto, la società ha presentato, con l’apposito modello VR, richiesta di rimborso di un credito IVA di settemilionicinquecentomila Euro, relativo al periodo d’imposta 2006, facendo leva sul D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, comma 3, lett. c), che disciplina il rimborso dell’eccedenza detraibile dell’imposta “relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili”.

 

Ne è seguito il provvedimento di diniego oggetto del giudizio, motivato dall’ufficio per la circostanza che, essendo l’Iva assolta sugli acquisti relativa alla realizzazione di nuove linee ferroviarie, le infrastrutture, i beni e gli impianti, così come ampliati, allargati e migliorati dalla concessionaria, restano di proprietà della Regione concedente: gli acquisti non possono essere iscritti nel bilancio della società come beni ammortizzabili, in quanto non hanno autonoma funzionalità e non sono autonomamente utilizzabili rispetto ai beni ai quali accedono.

 

A seguito d’impugnazione della società, la Commissione tributaria provinciale ha respinto il ricorso, con sentenza che la Commissione tributaria regionale ha confermato, escludendo, per un verso, di poter applicare il giudicato relativo al rimborso dell’Iva per la medesima causale, ma in relazione all’anno 2004 e, ritenendo, per altro verso, che non sia ipotizzabile procedere ad ammortamento di beni non propri, in quanto non suscettibili d’impiego autonomo.

 

Ricorre la società per ottenere la cassazione della sentenza, affidando il ricorso a cinque motivi, che illustra con memoria depositata ex articolo 378 del codice di procedura civile.

 

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso; nel corso dell’udienza di discussione dell’8 luglio, deposita atto di autotutela di annullamento del diniego di rimborso oggetto del giudizio, in relazione al quale il difensore della società deposita note di udienza.

 

 

 

[diritto]

1. – Va preliminarmente respinta la richiesta, formulata dall’Agenzia delle entrate, di pronunciare la cessazione della materia del contendere in esito all’atto di autotutela esibito, consistente nell’annullamento del diniego di rimborso impugnato. Atto di autotutela, col quale l’ufficio, reputando “ammissibile il rimborso dell’iva per i beni acquistati dalla menzionata società, ancorchè quest’ultima sia una mera concessionaria per la gestione delle infrastrutture, laddove, invece, i beni e gli impianti restano di proprietà della Regione”, si è limitato, appunto, ad annullare il diniego di rimborso Iva.

 

1.1. – Giova rimarcare, al riguardo, che, in seno alle categorie del diritto amministrativo, applicabili per quest’aspetto al diritto tributario, in considerazione della natura di atto amministrativo propria del provvedimento di accertamento o di liquidazione delle imposte nonchè di quello di diniego di rimborso oggetto della cognizione del giudice tributario, occorre distinguere tra l’ipotesi in cui un atto nuovo determini un risultato non inferiore per il ricorrente a quello ritraibile dal giudicato, da altre situazioni caratterizzate solo dalla sopravvenuta carenza di interesse; ma anche la sopravvenuta carenza può contraddistinguere soltanto le fattispecie in cui l’atto impugnato abbia comunque cessato di produrre i propri effetti o, comunque, il processo non possa, per qualsiasi motivo, produrre un risultato utile per il ricorrente (vedi, fra molte, Cons. Stato, sez. 6^, 16 aprile 2012, n. 2135;

 

Cons. Stato, sez. 4^, 4 marzo 2011, n. 1413 e, nella giurisprudenza di questa sezione, Cass. 15 ottobre 2007, n. 21529).

 

1.2. – Di qui la necessità della distinzione tra il caso in cui il nuovo atto dell’ufficio recepisca l’istanza del ricorrente e quello in cui da esso derivi soltanto la mera cessazione degli effetti dell’atto annullato.

 

Con particolare riguardo all’ipotesi in cui l’atto annullato sia un diniego di rimborso, il mero venir meno dei suoi effetti non si traduce nella definitiva realizzazione dell’interesse del contribuente, giacchè l’atto di annullamento non contiene l’accertamento relativo al rapporto tributario controverso e alla pretesa sostanziale vantata dall’interessato di siffatta realizzazione; pretesa che, nel caso in questione, si è estesa, sin dal primo grado, alla istanza di condanna dell’amministrazione al pagamento della somma oggetto della richiesta di rimborso (vedi, in termini, Cass. 12 maggio 2011, n. 10431, secondo cui, per rimuovere gli effetti di un silenzio-rifiuto, occorre un provvedimento espresso di riconoscimento dell’obbligazione tributaria o l’adempimento di essa).

 

S’impone in conseguenza l’esame dei motivi di ricorso, al fine di verificare l’impatto su di essi dell’atto di autotutela in questione:

 

benchè il provvedimento di diniego si debba ritenere completamente rimosso dal mondo del diritto, il principio d’indisponibilità della materia tributaria, accentuato dalla natura armonizzata dell’imposizione sulla cifra d’affari, impone per ragioni sostanziali, oltre che processuali, questa ulteriore verifica.

 

2.- Con i cinque motivi di ricorso, che vanno congiuntamente esaminati, in quanto logicamente avvinti, la società lamenta:

 

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e dell’art. 324 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto l’inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto per estendere al periodo d’imposta 2006 il giudicato formatosi per il precedente periodo 2004, derivante dalla definitività della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania numero 241/45/08 e ciò, nonostante il riconoscimento del diritto al rimborso dell’IVA sia per il 2004, sia per il 2006 sia subordinato alla soluzione di una questione comune ad entrambe le cause; questione inerente alla possibilità, secondo quanto affermato dalla sentenza impugnata, di qualificare come diritti reali quelli attribuiti a Metrocampania e comunque come “ammortizzabili” ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. c), i beni da essa acquistati in qualità di concessionaria di un’infrastnittura ferroviaria di trasporto pubblico in virtù dell’unico atto di concessione del 23 dicembre 2003 – primo motivo;

 

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omissione, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione sul fatto controverso e decisivo della rilevanza del giudicato esterno, denunciando la contraddittorietà della sentenza, là dove la Commissione ha dapprima affermato che la domanda appare identica a quella già decisa limitatamente ai soggetti ed all’oggetto, per poi escludere l’identità “in ragione delle sfaccettature che differenziano i valori per ogni anno” ovvero dei diversi importi che “non possono essere considerati elemento comune per ciascun anno”;

 

l’insufficienza, là dove la sentenza ha omesso di spiegare quali fossero gli elementi diversificanti fra le due domande – secondo motivo;

 

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30, comma 3, lett. c), riguardo alla nozione di acquisto di beni ammortizzabili, anche in relazione agli artt. 102, 103 e 104 del testo unico delle imposte sui redditi, sostenendo che la sentenza impugnata, prescindendo da ogni considerazione sistematica, ha affermato che non è ipotizzabile procedere ad un ammortamento di beni non propri; in via subordinata, ha formulato richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per violazione dei principi di neutralità, detraibilità e rimborso dell’IVA sugli acquisti di cui all’art. 17, paragrafo 2, ed all’art. 18, paragrafo 4, della VI direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, numero 77/388/Ce – terzo motivo;

 

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omissione o l’insufficienza della motivazione sul fatto controverso e decisivo riguardante la proprietà delle opere realizzate dalla società concessionaria – quarto motivo;

 

– ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., riguardo all’interpretazione dell’atto di concessione, reputando che ha errato la Commissione tributaria regionale, là dove ha affermato che gli impianti e gli interventi realizzati dalla s.r.l. Metrocampania rimanevano di proprietà della Regione concedente, omettendo d’interpretare altre clausole dell’atto – quinto motivo.

 

3. – E bene sottolineare, anzitutto, quanto all’eccezione di giudicato, che il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato tributario può operare solo rispetto a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente (in riferimento a tali elementi, vedi la sentenza delle sezioni unite della Corte numero 13916 del 16 giugno 2006 nonchè, fra molte, Cass. 30 settembre 2011, n. 20029).

 

Su un piano più generale, le sezioni unite hanno specificato che qualora due giudizi, tra le medesime parti, si riferiscano allo stesso rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass., sez. un., 17 dicembre 2007, n. 26482).

 

3.1. – Con specifico riguardo agli ammortamenti, soltanto nell’ipotesi in cui un’unica posta sia frazionata in più anni, il giudicato relativo ad una annualità può coinvolgere anche le altre, perchè la questione è identica in tutti i suoi aspetti e rileva in annualità diverse solo per le modalità temporali di imputazione.

 

Qualora, invece, più poste siano frazionate in più anni, la sentenza del giudice tributario emessa con riferimento ad un determinato rapporto giuridico di imposta ed in relazione ad una specifica annualità, può fare stato anche con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, solo ed esclusivamente per quanto attiene alla risoluzione di un’identica questione di diritto comune a tutte le controversie, o alla decisione su questioni preliminari correlate ad un interesse protetto che rivesta il carattere della durevolezza (cfr. Cass. 16 maggio 2007, n. 11226; Cass. 30 giugno 2010, n. 15582).

 

3.2.- Nel nostro caso, la sentenza passata in giudicato affronta la questione dell’assoggettabilità ad ammortamento dei beni gratuitamente devolvibili, ossia dei beni che, alla scadenza della concessione, debbano essere restituiti gratuitamente all’ente concedente, in relazione ai quali la dottrina ha elaborato Li categoria della proprietà di concessione; ma non vi è specifica deduzione, nè risulta altrimenti evincibile, che l’odierno giudizio abbia riguardo esattamente e soltanto al bene o ai beni della cui ammortizzabilità ha trattato la sentenza passata in giudicato (la numero 241/45/08 della medesima Commissione), che genericamente si riferisce a “beni”. Là dove, giova rilevare, qualora da un’unica fonte scaturiscano diversi periodi di imposta, il presupposto dell’imposizione va calibrato in relazione alle poste attive e passive, specificate nel prosieguo, differenti anno per anno (le “sfaccettature” di cui discorre la sentenza impugnata): e ciò in quanto, per ciascun periodo di imposta, gli elementi di fatto che originano l’imposizione si atteggiano in maniera diversa (Cass., sez. un., 20 giugno 2007, n. 14294; Cass. 22 febbraio 2008, n. 4607; in termini, da ultimo, con riguardo a crediti d’imposta afferenti a diverse annualità, Cass., ord. 11 giugno 2013, n. 14719).

 

3.3.- A tanto va aggiunto, in linea generale, che le controversie in materia di IVA richiedono il rispetto di norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dalla sua eventuale proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, qualora sia impedita la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzalo d’imposta (vedi, fra molte, Cass. 8 maggio 2013, n. 10781; Cass. 5 ottobre 2012, n. 16996; Cass. 30 settembre 2011, n. 20029; Cass. 19 maggio 2010. n. 12249. che richiamano Corte di Giustizia 3 settembre 2009, in causa C-2/08).

 

Il che comporta, in generale, che soltanto il giudicato pienamente rispondente alle norme imperative comunitarie in tema di Iva può produrre efficacia espansiva e, in particolare, che il giudicato in questione, concernente “…beni strumentali coperti da contributi pubblici”, non pare incontrovertibilmente rispondere a tale requisito, per le osservazioni che seguono, sub 9 e 70.

 

L’eccezione di giudicato va in conseguenza respinta.

 

4. – Nel merito, la sentenza impugnata chiarisce che “la controversia che ci riguarda ha ad oggetto domanda di rimborso di somme date a titolo di iva dalla ricorrente, concessionaria di una infrastruttura ferroviaria di trasporto pubblico, su interventi di ampliamento, ammodernamento e potenziamento della struttura con opere di sua proprietà, iscritte in bilancio come beni ammortizzabili e che solo alla fine della durata della concessione sarebbero state devolute gratuitamente alla Regione concedente”. Prosegue la sentenza precisando che “gli interventi di ampliamento, ammodernamento e potenziamento della struttura, effettuati dalla ricorrente, pertanto sono realizzati su aree demaniali appartenenti alla Regione Campania e gli stessi, cioè, gli impianti e le infrastrutture oggetto degli interventi rimanevano di proprietà dell’ente concedente, così come previsto dall’Atto di concessione stipulato in data 23.12.2003, pur se concessi in uso alla società concessionaria”.

 

4.1. – E’ oggetto di un accertamento di fatto da parte del giudice del merito, in questa sede non sindacabile, che, in base all’atto di concessione:

 

– la concessionaria è tenuta ad interventi di ampliamento, ammodernamento e potenziamento degli impianti e di una infrastruttura ferroviaria di trasporto pubblico;

 

– gli impianti e l’infrastruttura originari sono di proprietà della Regione concedente;

 

– alla fine della durata della concessione, tutte le opere di ampliamento, ammodernamento e potenziamento degli impianti realizzate dal concessionario devono essere gratuitamente devolute alla concedente;

 

– la ricorrente è stata “beneficiaria di contributi, sebbene in modo parziale, dati dalla regione, per lo svolgimento della propria attività…”.

 

4.2. – Oggetto di controversia è verificare se le opere di ampliamento, ammodernamento e potenziamento degli impianti realizzate dal concessionario siano da considerare, nel corso della concessione, di proprietà del concessionario oppure di proprietà del concedente e se tale aspetto sia rilevante al fine di rendere qualificabili tali opere come beni ammortizzabili e quindi detraibile l’IVA versata per la costruzione o l’acquisizione di esse: il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. c), stabilisce infatti che è rimborsabile l’eccedenza detraibile dell’IVA relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili.

 

4.3. – Secondo la Commissione tributaria regionale, difatti, l’ammortamento delle opere realizzate non è possibile, perchè le opere afferiscono a beni altrui, e per di più sono insuscettibili di utilizzo autonomo rispetto a quello del bene o dei beni cui accedono.

 

5. – Ciò posto, il rimborso dell’eccedenza detraibile dell’imposta sul valore aggiunto contemplato dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 3, lett. c), postula, per quanto d’interesse, che si abbia riguardo a:

 

a.- beni;

 

b.- che siano stati acquistati dal contribuente che chiede il rimborso e c.- che siano ammortizzabili.

 

5.1.-L’atto di autotutela esibito dall’Agenzia non risolve in maniera definitiva fra le parti gli aspetti controversi inerenti a tali profili, in quanto si limita a riconoscere che l’art. 30, comma 3, lett. c) “… è funzionale soltanto ad individuare la categoria di beni il cui acquisto consente un immediato recupero dell’IVA”, ancorchè la società contribuente “…sia una mera concessionaria per la gestione delle infrastrutture, laddove, invece, i beni e gli impianti restano di proprietà della Regione”.

 

6. – Va anzitutto affermato, in primo luogo, che i prodotti delle attività di miglioramento e di ampliamento in questione rispondono, sia pure in senso lato, alla generale nozione di beni fornita dell’art. 810 c.c..

 

Tali beni, finchè la concessione dura, sono di proprietà della concessionaria, con la deducibilità dei relativi costi.

 

6.1.- Si usa difatti distinguere i beni che il concessionario acquisti o costruisca per l’espletamento delle attività oggetto della concessione amministrativa in due categorie: quella della c.d.

 

proprietà industriale, che annovera i beni i quali, al termine della concessione, restano di proprietà della concessionaria o sono ceduti alla concedente dietro corrispettivo e quella della c.d. proprietà di concessione, che comprende i beni i quali, alla scadenza della concessione, sono trasferiti agli enti concedenti gratuitamente ed in condizioni di normale funzionamento, ossia “gratuitamente devoluti”, secondo la locuzione impiegata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 104.

 

6.2. – Afferiscono, tuttavia, alla c.d. proprietà di concessione anche i beni consistenti nel prodotto dell’attività di ampliamento, ammodernamento o miglioramento degli elementi strutturali di immobilizzazioni di proprietà della concedente, se ne comportino un incremento significativo e misurabile di capacità o di produttività o di sicurezza o di vita utile.

 

In tale ipotesi, le migliorie e le spese incrementative, qualora non siano separabili dai beni cui afferiscono, vanno a sostanziare, secondo un autorevole insegnamento, immobilizzazioni immateriali: si consideri che l’art. 2424 c.c., lett. B), annovera fra le immobilizzazioni immateriali “costi di impianto e di ampliamento” che, non avendo come risultato l’acquisto da parte della società di beni immateriali singolarmente valutabili (come, ad esempio, i brevetti ed i marchi etc.), sono nondimeno idonei a produrre effetti positivi anche negli esercizi successivi a quello in cui la società li ha sostenuti, sul presupposto che la ricchezza e la potenzialità produttiva di un’impresa non sono solo composte da beni materialmente tangibili (terreni, fabbricati, macchinari, ecc), ma anche da ogni altro elemento in grado di creare reddito in avvenire.

 

6.3. – I costi necessari per acquisire siffatti beni, per un verso, ne costituiscono il naturale metro di valutazione e, per altro verso, rendono necessario procedere al loro ammortamento nel tempo, qualora siano contrassegnati da utilità pluriennale, giacchè il bilancio è retto dal principio di competenza (art. 2423 bis c.c., n. 3), in osservanza del quale se una determinata spesa è destinata a produrre utilità in un arco di tempo eccedente i limiti dell’esercizio in cui è stata sostenuta, il relativo onere dev’essere possibilmente imputato anche agli esercizi successivi, in misura proporzionale ai benefici che in tali esercizi detta spesa ha generato (Cass. 28 agosto 2004, n. 17210).

 

6.4. – L’ammortamento, difatti, riguarda o può riguardare il costo sostenuto per l’acquisizione o la costruzione di fattori di produzione di durata pluriennale e che partecipano al processo produttivo per un determinato periodo di tempo ultra-annuale. Per tali ipotesi è previsto che il costo non sia computato esclusivamente nell’esercizio nel corso del quale esso è sostenuto (principio di cassa), ma sia, invece, ripartito tra i vari esercizi nel corso dei quali il bene di cui si tratta sarà presumibilmente utilizzato nell’esercizio dell’impresa.

 

6.5. – Inoltre, la circostanza che, a norma dell’art. 2426 c.c., n. 5, i costi di ampliamento aventi utilità pluriennale possano e non debbano essere iscritti nell’attivo e che occorra altresì il consenso del collegio sindacale, ove esistente, in luogo di essere imputati in conto economico come componenti negativi del reddito dell’esercizio in cui sono sostenuti, induce a ritenere che essi siano capitalizzabili, qualora la società, col consenso del collegio sindacale, ove esistente, opti per la loro capitalizzazione, reputando che producano benefici prolungati nel tempo, come causa immediata e diretta dei vantaggi pluriennali ricavati (così Cass. 28 agosto 2004, n. 17210).

 

Nel caso in esame, peraltro, accedendo tali costi a beni del concedente, la dottrina ne suggerisce l’appostazione, in bilancio, sub B) 1 – 7 dell’art. 2424 c.c..

 

6.6. – Qualora, invece, le attività di miglioramento e di ampliamento rappresentino attività identificabili, scaturigini di prodotti separabili, questi ultimi saranno iscritti tra le immobilizzazioni materiali, nella specifica categoria di appartenenza.

 

6.7. – Dunque, tali attività, sia che diano luogo ad immobilizzazioni immateriali, sia che diano luogo ad immobilizzazioni materiali, afferiscono alla categoria dei beni gratuitamente devolvibili, perchè concernenti beni di proprietà della Regione, che a questa vanno restituiti, come migliorati ed ampliati dalla concessionaria.

 

7. – Ad ogni modo, quale che sia la corretta qualificazione giuridica del titolo del concessionario sulle opere di ampliamento, ammodernamento e potenziamento degli impianti dal medesimo realizzate (anche per chi dubiti dell’ammissibilità di una proprietà temporanea), la possibilità di ammortizzarne il costo da parte dell’imprenditore concessionario che tale costo ha incontrato e che tali opere utilizza nell’esercizio dell’impresa è espressamente e specificamente prevista dall’attuale D.P.R. n. 917 del 1986, art. 104, (corrispondente all’art. 69 della precedente versione del TUIR), secondo cui “per i beni gratuitamente devolvibili alla scadenza di una concessione è consentita, in luogo dell’ammortamento di cui agli artt. 102 e 103, la deduzione di quote costanti di ammortamento finanziario”.

 

7.1. – In particolare, il legislatore ha previsto con questa norma, in alternativa all’ammortamento tecnico, rispettivamente stabilito per i beni materiali e per quelli immateriali dagli artt. 102 e 103, una speciale forma di ammortamento, l’ammortamento finanziario, prima cumulativo ed oggi alternativo rispetto a quello tecnico.

 

7.2. – L’ammortamento tecnico è funzionale alla mera ripartizione, in una pluralità di periodi, del costo fiscalmente riconosciuto, in quanto sopportato per l’acquisizione del bene, attraverso quote non necessariamente costanti ed in stretta correlazione con le modalità d’impiego del bene nell’attività dalla quale promana il reddito d’impresa.

 

L’ammortamento finanziario, invece, è un procedimento tecnico- contabile di ripartizione del costo pluriennale dell’immobilizzazione gratuitamente devolvibile negli esercizi di durata della concessione, al fine di sottrarre a tassazione quanto il concessionario complessivamente sborsi per acquistare e mantenere cose destinate al concedente (Cass. 7 marzo 1997, n. 2085).

 

Quest’ultima previsione è, peraltro, conforme alle disposizioni civilistiche: l’art. 2426 c.c., n. 2), impone di ammortizzare sistematicamente, in ogni esercizio in relazione con la residua possibilità di utilizzazione, il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo, pur imponendosi il coordinamento – che esula dalla materia controversa di questo giudizio – col successivo numero 5), a norma del quale i costi in questione “…devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni”.

 

7.3.-La stessa Corte costituzionale, d’altronde, ha posto in luce la specialità dell’ammortamento finanziario, evidenziandone la natura di agevolazione tributaria, “rivolta non tanto all’effettivo ammortamento di costi relativi a beni oggetto di concessione, quanto piuttosto ad alleggerire il carico fiscale sui concessionari onde le quote annuali di ammortamento finanziario dedotte nel corso della concessione sono state considerate quote di utili esenti da imposta” (Corte cost. 6 febbraio 2002, n. 16).

 

7.4.-La società può dunque scegliere tra l’ammortamento ordinario e l’ammortamento finanziario per quote costanti o differenziate.

 

Ci si trova comunque, nel caso in questione, al cospetto di beni che, prodotti o acquisiti dalla concessionaria, sono ammortizzabili.

 

7.5.- In definitiva, la tesi sostenuta nella sentenza impugnata, secondo cui i costi sostenuti dal concessionario per le opere di ampliamento, ammodernamento e potenziamento degli impianti (di proprietà del concedente) non sono ammortizzabili in quanto accedono alla proprietà del concedente, con conseguente non detraibilità dell’IVA ad essi relativa, non ha alcun fondamento normativo ed è anzi in contrasto con le espresse previsioni di legge.

 

8. – Rimangono da esaminare i limiti di ammortizzabilità, che si riverberano sulla quantificazione del rimborso richiesto, alPammortizzabilità appunto correlato. E ciò in quanto va indagato l’onere economico effettivamente sostenuto dalla società concessionaria per l’acquisizione dei beni, al fine di verificarne il riflesso sul piano dell’imposta sul valore aggiunto e, in particolare, della richiesta di rimborso della quale oggi si discute.

 

Trova dunque ingresso il tema della rilevanza dei contributi della concedente, l’erogazione dei quali, si è visto, è stata oggetto di accertamento della sentenza impugnata; tema discusso sin dal primo grado, come si evince dalla riproduzione delle difese dell’ufficio e del testo della sentenza della Commissione tributaria provinciale, contenuta alle pagine 6 – 8 del controricorso, dedotto, nell’impostazione dell’Agenzia, in via di eccezione, a sostegno dell’esclusione dell’ammortizzabilità dei beni, in quanto, si sostiene in controricorso, “…deve formare oggetto di ammortamento il solo costo che effettivamente rimane a carico dell’impresa”.

 

Essendo stato il tema introdotto in giudizio sin dal primo grado, è irrilevante la censura di novità proposta dalla società in memoria, in mancanza di contestazione delle modalità e dei tempi della sua introduzione.

 

E va anche precisato che l’accertamento contenuto in sentenza, non ritualmente contestato dalle parti, che la società è stata “…beneficiaria di contributi, sebbene in modo parziale, dati dalla regione…” per la propria attività d’investimento, esonera la Corte dall’esame dell’ammortizzabilità dei beni, ai fini del rimborso del quale si discute, nell’ipotesi, ventilata in memoria e ritenuta in controricorso, in cui i contributi pubblici abbiano integralmente coperto le attività d’investimento delle quali si discute.

 

8.1. – Espressamente il meccanismo dell’ammortamento finanziario comporta che la determinazione della quota deducibile con riguardo al singolo periodo d’imposta sia quantificata al netto dei contributi del concedente.

 

8.2. – Ma tale esclusione dei contributi del concedente dalla base di computo delle quote di ammortamento è espressione di una regola generale, coerente col trattamento fiscale loro riservato.

 

8.3. – Il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 88, comma 3, lett. b), che riproduce il previgente art. 55, comma 3, lettera b), nel testo risultante dalla modifica introdotta dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 21, annovera fra le sopravvenienze attive i proventi, in danaro o in natura, conseguiti a titolo di contributo o di liberalità (contributi in conto capitale), esclusi:

 

– i contributi produttivi di ricavi (ossia i contributi di fonte privatistica spettanti contrattualmente e comunque denominati – art. 85, 1 comma, lettera g);

 

– i contributi di fonte pubblicistica in conto esercizio spettanti esclusivamente a norma di legge – art. 85, comma 1, lett. h) e, appunto;

 

– i contributi destinati all’acquisto di beni ammortizzabili indipendentemente dal tipo di finanziamento adottato.

 

8.4. – A seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 449 del 1997, dunque, i contributi rappresentano l’investimento diretto del concedente per partecipare al costo di realizzazione dell’opera.

 

In definitiva, i contributi del concedente sono destinati a rilevare in diminuzione del costo fiscalmente riconosciuto del cespite cui afferiscono.

 

8.5. – Ciò può avvenire in base a due differenti metodi di contabilizzazione, entrambi coerenti con i principi contabili internazionali (IAS numero 20): secondo un primo metodo, i contributi percepiti concorrono indirettamente alla formazione del reddito sotto forma di minori quote di ammortamento, contabilizzate e dedotte nei periodi d’imposta successivi; in base ad un secondo metodo, il costo di acquisto dei beni è contabilizzato al lordo dei contributi, che risulterà tra i componenti positivi del conto economico, di guisa che concorrerà alla formazione del reddito d’impresa sotto forma di quote di risconto passivo proporzionalmente corrispondenti alle quote di ammortamento ancora da dedurre.

 

E la Corte, sul punto, ha escluso che, in concreto, si possa procedere ad ammortamento “di beni strumentali acquistati con pubblici contributi, per evitare una duplicazione dei vantaggi generati dai contributi stessi; il contribuente, quindi, potrà procedere soltanto all’ammortamento di beni (o di quote di essi) acquistati con denaro proprio; nel caso in cui il bene sia stato acquistato con denaro parzialmente proprio, la somma deducibile ogni anno a titolo di ammortamento deve essere calcolata su tutto il prezzo versato, ma l’ammortamento dovrà, comunque, arrestarsi quando siano dedotte tutte le somme versate di tasca propria dal contribuente” (Cass. 6 agosto 2008, n. 21155).

 

8.6. – Sul piano sistematico, con specifico riguardo alle concessioni, tale ricostruzione trova rispondenza, in via d’esempio, ed in materia contigua, nel D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164, art. 14, comma 8, recante attuazione della direttiva numero 98/3 0/Ce in tema di mercato interno del gas naturale, secondo cui “il nuovo gestore, con riferimento agli investimenti realizzati secondo il piano degli investimenti oggetto del precedente affidamento o concessione, è tenuto a subentrare nelle garanzie e nelle obbligazioni relative ai contratti di finanziamento in essere o ad estinguere queste ultime e a corrispondere una somma al distributore uscente in misura pari all’eventuale valore residuo degli ammortamenti di detti investimenti risultanti dai bilanci del gestore uscente e corrispondenti ai piani di ammortamento oggetto del precedente affidamento, al netto degli eventuali contributi pubblici a fondo perduto”.

 

9. – Il fatto che i contributi del concedente siano destinati a rilevare in diminuzione del costo fiscalmente riconosciuto del cespite cui afferiscono, rifluisce sull’ammonimento della Corte di giustizia, secondo cui il rimborso dell’iva non si può tradurre in un indebito arricchimento, allorquando tutto o parte del relativo onere economico sia stato sostenuto da altri (Corte giust. 16 maggio 2013, C-191/12, Alakor, punto 35).

 

Sentenza, questa della Corte di giustizia, che si riferisce giustappunto alla norma nazionale ungherese, giudicata incompatibile con le norme comunitarie in tema d’Iva, la quale disponeva la parziale detraibilità dell’imposta sul valore aggiunto, propedeutica alla sua parziale rimborsabilità, assolta sugli acquisti di beni strumentali assoggettati a sovvenzione pubblica, limitatamente alla quota-parte dell’acquisto non coperta da sovvenzione, sulla quale si diffonde la memoria della società alle pagine 9 e 10, a sostegno della propria tesi.

 

Con l’occasione, la Corte di giustizia ha chiarito che “il principio del rimborso delle imposte riscosse in uno Stato membro in violazione di norme del diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che non osta a che uno Stato rifiuti il rimborso di una parte dell’imposta sul valore aggiunto, la cui detrazione sia stata esclusa in forza di un provvedimento nazionale contrario al diritto dell’Unione, per il fatto che detta parte dell’imposta è stata sovvenzionata da un aiuto concesso al soggetto passivo e finanziato sia dall’Unione Europea, sia da detto Stato, purchè l’onere economico relativo al rifiuto di detrazione dell’imposta sul valore aggiunto sia stato integralmente neutralizzato, circostanza che il giudice nazionale dovrà accertare”.

 

9.1. – Occorre dunque verificare, in virtù del principio di neutralità dell’iva, se l’onere economico da altri almeno in parte sostenuto per l’acquisizione del bene abbia altresì neutralizzato l’onere economico concernente l’imposta sul valore aggiunto; se, dunque, l’onere dell’iva, nella specie, sia stato riversato su altri (Corte giust. 6 settembre 2011, C-398/09, Lady & Kid., punto 18).

 

9.2. – Sul punto, l’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633/1972 prescrive che, per la determinazione dell’eccedenza in questione, è detraibile l’importo “dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione”. Importo, che va calcolato, in base all’articolo 13 del medesimo decreto, sull’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti; è necessario, tuttavia, accertare se anche l’onere economico dell’imposta, o parte di esso, risulti neutralizzato dai contributi pubblici del concedente, i quali comunque determinano la diminuzione dei costi fiscalmente riconosciuti.

 

9.3. – Il che istituisce quel collegamento tra detraibilità e rimborso invocato dalla società sia in ricorso, sia in memoria.

 

10. – Va dunque affermato il seguente principio di diritto:

 

“Gli interventi di ampliamento, ammodernamento e potenziamento degli impianti e di una infrastruttura ferroviaria di trasporto operati da una società concessionaria di un ente pubblico danno luogo a beni, materiali o immateriali, gratuitamente devolvibili, soggetti, sussistendone i presupposti, ad ammortamento finanziario, alternativo a quello tecnico, ma, ai fini della quantificazione del rimborso della relativa eccedenza detraibile dell’imposta sul valore aggiunto, vanno defalcati i contributi del concedente che abbiano neutralizzato l’onere economico dell’imposta o parte di esso”.

 

10.1. – La sentenza impugnata va in conseguenza cassata, con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania affinchè con congrua motivazione determini a quanto ammonti, ai fini del rimborso, l’eccedenza detraibile dell’imposta sul valore aggiunto in relazione all’anno d’imposta considerato, calcolata previa decurtazione dei contributi del concedente che abbiano neutralizzato, in tutto o in parte, l’onere economico dell’imposta.

 

P.Q.M.

 

La Corte:

 

– accoglie il ricorso;

 

– cassa la sentenza impugnata;

 

– rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

 

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2013.

 

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2013

 

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