L’interesse pubblicistico è vincolante anche nei rapporti tra privati

Tag 09 Gennaio 2014  |

 

[intestaz]

Cass. civ. Sez. III, Ord., 03-01-2014, n. 37

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente –

 

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

 

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

 

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

 

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente:

 

ordinanza

 

sul ricorso 4853/2008 proposto da:

 

F.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 42, presso lo studio dell’avvocato ALOISIO ROBERTO GIOVANNI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO PAOLA giusta delega in atti;

 

– ricorrente –

 

contro

 

S.V.C., M.P., B.J.;

 

– intimati –

 

avverso la sentenza n. 102/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/02/2007 R.G.N. 3840/2005;

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/10/2013 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

 

udito l’Avvocato ROBERTO GIOVANNI ALOISIO;

 

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

 

 

 

[fatto]

Con sentenza del 6/2/2007 la Corte d’Appello di Roma ha respinto il gravame interposto dal sig. F.E. in relazione alla pronunzia Trib. Roma 7/4/2005, di rigetto della domanda dal medesimo proposta nei confronti dei sigg. S.V.C., B.J. e M.P. di sfratto per morosità, e di accoglimento viceversa della domanda nei suoi confronti da questi ultimi separatamente promossa di nullità L. n. 431 del 1998, ex art. 13, dell’accordo con il quale era stato pattuito un canone di locazione dell’immobile sito in (OMISSIS), di ammontare (Euro 1.700,00, comprensivo di spese consortili) maggiore di quello (Euro 387,35) risultante dal contratto tra le medesime parti già stipulato e registrato.

 

Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell’appello il F. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

 

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

 

 

 

[diritto]

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, 1417, 2697, 2733 e 2735 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

 

nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

 

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto la nullità della “scrittura privata a latere”, considerata quale accordo avente ad oggetto l’integrazione del canone, laddove si trattava del contratto dissimulato, parte della più ampia “intesa simulatoria vertente sul prezzo, per meri fini fiscali”, che doveva essere viceversa ritenuto valido ed indicativo dell'”oggetto del contratto realmente voluto dai contraenti”.

 

Con il 2 motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, 1417, 2697, 2733 e 2735 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

 

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente affermato che l’aumento del canone fosse oggetto di un “patto successivo al primo”, laddove “il contratto di locazione e la scrittura a latere erano stati stipulati contestualmente”, e quest’ultima costituiva la “contro-dichiarazione”, e cioè “una specie di negozio ausiliario che fa corpo con il contratto simulato, nel senso di determinare il significato e la portata della dichiarazione apparente”, sicchè essa doveva considerarsi non già un “accordo integrativo” bensì “un atto di accertamento o dichiarativo della reale volontà delle parti”.

 

Come confermato dall'”atto di transazione 08.04.2003″.

 

Con il 3 motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1414 e 1417 c.c., L. n. 431 del 1998, art. 13, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

 

Si duole che la corte di merito erroneamente abbia ritenuto la nullità della “scrittura privata a latere”, laddove la mancata o tardiva “registrazione del patto con il quale si stabilisce un canone maggiore di quello risultante dal contratto scritto e registrato non produce la nullità della pattuizione”. La L. n. 431 del 1998, art. 13, ha infatti “riguardo ad una pattuizione volta a determinare un canone diverso (e superiore) rispetto ad un altro canone, che individua in quello risultante dal contratto scritto e registrato”, mentre in caso come nella specie di “simulazione relativa al canone non si configura un contrasto tra due diversi canoni, perchè, una volta provata ed accertata, mediante contro-dichiarazione scritta, la simulazione, il canone è soltanto quello effettivamente voluto dalle parti, e ciò in applicazione dei principi propri dell’istituto della simulazione”.

 

La questione posta all’attenzione della Corte attiene a contratto dì locazione avente ad oggetto villino sito in (OMISSIS), località (OMISSIS), intercorso tra il proprietario sig. F.E. e i sigg. V.S.C. ed altri, redatto per iscritto e registrato il 31/3/2003, recante l’indicazione di un canone mensile di Euro 387,35.

 

La domanda di risoluzione del contratto per morosità in ragione del mancato pagamento delle mensilità di canone relative ai mesi di dicembre 2003 e gennaio 2004 proposta dal F. è stata rigettata nei 2 gradi di merito, con accoglimento viceversa della domanda dai conduttori nei confronti di quest’ultimo spiegata in separato giudizio, chiamato avanti allo stesso giudice e (stante quanto indicato nell’impugnata sentenza) “implicitamente” riunito, di accertamento dell’entità del canone nella suindicata misura di Euro 387,35, e non già in quella di Euro 1.700,00 circa, come dal locatore preteso giusta scrittura privata dal medesimo registrata il 24/5/2004, e ritenuta nulla L. n. 431 del 1998, ex art. 13.

 

Nel confermare la decisione del giudice di prime cure, nell’impugnata sentenza la corte di merito ha nell’impugnata sentenza argomentato dal rilievo:

 

che è stato nel caso stipulato “dapprima il contratto registrato con un canone di Euro 387,35 e subito dopo l’altro che, proprio per i richiami al primo contratto, poteva essere solo successivo al primo (sia pure nello stesso arco temporale)”;

 

– che “i due contratti, più che configurare una simulazione del canone nel primo di essi e il reale canone dissimulato nel secondo, configurano, nella scrittura privata, una integrazione di esso canone: l’obbligo dei 387,35 viene integrato con altro obbligo di 1.262,65 Euro, il tutto comprensivo delle spese consortili”;

 

– che a tale stregua vi è nel caso “piena vigenza del primo contratto e del secondo, con un canone complessivo fissato negli stessi di Euro 1.700,00”;

 

– che “se anche si volesse ritenere il secondo un contratto dissimulato, come tale, pienamente valido ed operante tra le parti, così come invocato dall’appellante, esso contratto comunque andava e va considerato nullo, con piena vigenza del primo contratto”;

 

– che la L. n. 431 del 1998, art. 13, sancisce al comma 1 la nullità di “ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”;

 

– che la giurisprudenza di merito non è ancora univocamente orientata circa la valenza della registrazione del contratto L. n. 431 del 1998, ex art. 13;

 

– che, vigente la L. n. 431 del 1998, la registrazione non può considerarsi “requisito di validità del contratto di locazione (tanto che una più recente normativa ha introdotto tale valenza)”;

 

– che nel caso di specie “la scrittura privata, successivamente registrata, è nulla perchè costituisce patto contrario alla legge, in quanto volto a determinare un importo maggiore del canone di locazione, superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”;

 

– che “la successiva registrazione del patto non può sanare la nullità di un atto contra legem, volto, peraltro, a realizzare un’evasione fiscale a vantaggio del locatore”;

 

– che “tale interpretazione non sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza (poichè il conduttore lucrerebbe su un canone inferiore ai prezzi correnti del mercato) : è il locatore che lucra sulla frode fiscale, non il conduttore e, non a caso, il legislatore ha introdotto la citata L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1”.

 

A tale stregua, come posto in rilievo dall’odierno ricorrente la corte di merito ha invero disatteso il principio enunziato da Cass., 27/10/2003, n. 16089 e successivamente consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità secondo cui: “In tema di locazioni abitative, la L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, nel prevedere la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (e nel concedere in tal caso al conduttore, al secondo comma, l’azione di ripetizione), non si riferisce all’ipotesi della simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo (nè a quella della simulata conclusione di un contratto di godimento a titolo gratuito dissimulante una locazione con corrispettivo), in tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata della norma, giacchè, essendo valido il contratto di locazione scritto ma non registrato (non rilevando, nei rapporti tra le parti, la totale omissione dell’adempimento fiscale), non può sostenersi che essa abbia voluto sanzionare con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione all’imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quello eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata. La nullità prevista dalla citata L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, è volta piuttosto a colpire la pattuizione, nel corso di svolgimento del rapporto di locazione, di un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario (descritto, come impone, a pena di nullità, l’art. 1, comma 4, della medesima legge, e registrato, in conformità della regola della generale sottoposizione a registrazione di tutti i contratti i locazione indipendentemente dall’ammontare del canone), la norma essendo espressione del principio della invariabilità, per tutto il tempo della durata del rapporto, del canone fissato nel contratto (salva la previsione di forme di aggiornamento, come quelle ancorate ai dati Istat)”.

 

Nella citata sentenza Cass. n. 16089 del 2003 si è in particolare ritenuto:

 

– che la mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità, in quanto, nonostante l’indubbio risalto dato dalla L. n. 431 del 1998, al profilo fiscale relativo alla registrazione del contratto di locazione, la stessa non è stata tuttavia elevata a requisito di validità del contratto, atteso che la L. n. 431 del 1998, art. 1, comma 4, richiede quale requisito di validità del contratto di locazione solo la forma scritta, e non anche la registrazione, sicchè un contratto di locazione concluso in forma scritta, ma non registrato, è valido e vincolante per le parti, e può essere fatto valere in giudizio;

 

– che sicura conferma di ciò si trae dall’originario impianto della L. n. 431 del 1998, atteso che l’utilizzabilità in giudizio del contratto di locazione non registrato, per conseguirne la risoluzione, era desumibile dall’art. 7 della detta legge, poi dichiarato illegittimo da Corte Cost. n. 333 del 2001, che condizionava all’adempimento dell’obbligo fiscale soltanto l’esecuzione del provvedimento di rilascio ottenuto dal locatore;

 

– di non potersi sostenere che si sia voluto sanzionare con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione all’imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quella eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata, laddove tale sanzione non è presente in caso di totale omissione dell’adempimento, dovendo altrimenti dubitarsi della legittimità costituzionale della norma, in riferimento all’art. 3 Cost., per palese irragionevolezza;

 

– che l’art. 13, comma 1, L. n. 431 del 1998 ha riguardo ad una pattuizione volta a determinare un canone diverso e superiore rispetto al canone risultante dal contratto scritto e registrato, laddove nel caso della simulazione relativa non si configura un contrasto tra due diversi canoni (ovvero tra nessun canone ed un canone pieno), perchè il canone è soltanto quello effettivamente voluto dalle parti risultante dalla controdichiarazione;

 

– che in caso di contratto libero L. n. 431 del 1998, ex art. 2, comma 1, il locatore può chiedere l’applicazione del canone previsto nella controdichiarazione, valida in quanto le parti possono liberamente determinare l’importo del corrispettivo;

 

– che in caso di simulazione relativa del canone, concernente contratto L. n. 431 del 1998, ex art. 2, comma 3, (c.d. contratto convenzionato), l’unico canone effettivo deve essere considerato quello indicato nella controdichiarazione, potendo il conduttore farne peraltro valere la nullità qualora esso sia superiore a quello massimo definito dagli accordi definiti in sede locale tra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative;

 

– che, al di fuori dell’ipotesi della simulazione relativa, un “contrasto tra canoni” può in realtà verificarsi nel caso in cui venga nel corso di svolgimento del rapporto pattuito un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario;

 

– che il patto successivo di maggiorazione del canone originariamente pattuito è da considerarsi nullo L. n. 431 del 1998, ex art. 13, comma 1, il quale pone il principio della invariabilità del canone fissato nel contratto originariamente stipulato per tutto il tempo della durata del rapporto stabilita dalla legge (durata anch’essa presidiata dalla nullità per entrambi i menzionati tipi contrattuali, poichè neppure il comma 3 pone distinzioni al riguardo);

 

– che il legislatore ha ritenuto meritevole di tutela l’esigenza del conduttore di godimento dell’immobile a condizioni economiche stabili ed immutabili per tutta la durata del rapporto;

 

– che la previsione di invariabilità del canone contrattualmente stabilito risulta particolarmente significativa per i contratti di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 1, giacchè l’iniziale determinazione del canone di locazione al momento della stipulazione è rimessa alla libera determinazione delle parti;

 

– che a tutela del conduttore, quale parte economicamente più debole, una volta fissato il canone contrattuale (con contratto scritto, come impone a pena di nullità la L. n. 431 del 1998, art. 1, comma 4, e registrato, in conformità alla regola della generale sottoposizione a registrazione di tutti i contratti di locazione indipendentemente dall’ammontare del canone giusta la L. n. 449 del 1997, art. 21), il legislatore ha alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, previsto il divieto, a pena di nullità, di concludere accordi aventi ad oggetto la maggiorazione del canone, che (a parte la previsione di forme di aggiornamento, come quelle correlate ai dati ISTAT, senza limiti percentuali) deve pertanto rimanere per tutta la durata del rapporto quello originariamente determinato;

 

– che la previsione di immutabilità del canone, a pena di nullità, si coordina, rafforzandola, con quella della L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 1, secondo periodo, contemplante la modifica delle condizioni contrattuali, tra le quali deve ritenersi compresa la determinazione dell’importo del corrispettivo, solo in relazione ad un rinnovo da concordare alla seconda scadenza del contratto;

 

– che alla specifica finalità perseguita dalla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, in relazione ai c.d. contratti liberi, di operare quale limite della persistente libertà di contrattazione del canone, non può ritenersi indirizzata la norma dettata dall’art. 13, comma 4, secondo periodo, L. n. 431 del 1998 (in base al quale “Per i contratti stipulati in base all’art. 2, comma 1, sono nulli, ove in contrasto con le disposizioni della presente legge, qualsiasi obbligo del conduttore nonchè qualsiasi clausola o altro vantaggio economico o normativo diretti ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito”), essendo essa viceversa rivolta “a sanzionare, in sede di prima stipulazione del contratto, la previsione di obblighi per il conduttore, o l’inserimento di clausole vantaggiose per il locatore, il cui effetto sia quello di determinare un incremento dell’onere economico gravante sul conduttore, non imputabile al canone contrattualmente stabilito, al quale è commisurata l’imposta di registro, semprechè obblighi, clausole e vantaggi siano contrastanti con le disposizioni della L. n. 431 del 1998”;

 

– che il principio dell’invariabilità (a parte l’eventuale aggiornamento ISTAT), per tutta la durata del contratto, del canone dalle parti convenzionalmente determinato in sede di relativa originaria stipulazione ha modo di operare, anche se entro i limiti segnati dal peculiare regime vigente per essi, altresì per i contratti di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 3, (c.d.

 

contratti a canone convenzionato), per i quali vige un regime di vincolo quanto alla misura del canone (analogo a quello dell’equo canone imposto dalla L. n. 392 del 1978, per le locazioni ad uso di abitazione, e presidiato dalla sanzione di nullità di cui all’art. 79), che si risolve nel divieto per le parti di discostarsi, nel determinare il canone, da un parametro esterno al contratto, individuato nel canone massimo definito dagli accordi, stante il disposto di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 4, primo periodo, (secondo cui “Per i contratti di cui all’art. 2, comma 3, è nulla ogni pattuizione volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito, per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie, dagli accordi definiti in sede locale”); – che, fissando il parametro esterno al quale si correla la validità della determinazione del canone contrattualmente dovuto (il superamento del quale apre al conduttore la via dell’azione di restituzione delle somme indebitamente versate, proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile:

 

art. 13, comma 5, primo periodo, L. n. 431 del 1998), la disposizione delimita l’area di applicazione del comma 1, con riferimento alla residua libertà lasciata ai contraenti di concordare il canone in una misura non eccedente il detto importo massimo, compresa nella fascia di oscillazione, tra un valore minimo ed uno massimo, dei canoni previsti dagli accordi;

 

– che una volta fissato dalle parti, nel contratto c.d. convenzionato originariamente stipulato, un importo del canone non eccedente quello massimo definito dagli accordi locali, tale determinazione è destinata a restare immutabile, non essendone a pena di nullità L. n. 431 del 1998, ex art. 13, comma 1, consentita una revisione in aumento, pur se contenuta in misura ancora inferiore all’importo massimo definito dagli accordi, in tal caso al conduttore spettando altresì l’azione di ripetizione delle somme indebitamente versate, proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile (L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 2).

 

La suindicata pronunzia Cass. n. 16089 del 2003 è stata successivamente confermata da Cass., 3/4/2009, n. 8148 e da Cass., 29/9/2004, n. 19568; nonchè, da ultimo, da Cass., 7/4/2010, n. 8230, ove si è in particolare posto in rilievo che l’ordinanza Corte Cost., 5/12/2007, n. 420 “è stata pronunciata nel giudizio avente ad oggetto la legittimità costituzionale (il relativo ricorso è stato poi dichiarato manifestamente infondato) della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria per il 2005), successiva ai fatti all’origine della controversia (il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado risale al 4 dicembre 2000) e che essa solo marginalmente – e in via meramente interpretativa – ha ritenuto la norma tributaria elevata al rango di norma imperativa, la cui violazione determina la nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c.”.

 

Orbene, diversamente da quanto auspicato dall’odierno ricorrente, il Collegio ritiene di non poter ulteriormente confermare il sopra riportato orientamento interpretativo.

 

Va osservato che la citata pronunzia Cass. n. 16089 del 2003 ha a suo tempo condiviso una pressochè isolata tesi dottrinaria, laddove era andato viceversa delineandosi e generalmente affermandosi nella giurisprudenza di merito l’orientamento interpretativo secondo cui la registrazione de qua costituisce un requisito di “validità” (così, in giurisprudenza di merito, Trib. Verona, 21/6/2000, in Rass. loc., 2000, 429 ss.; Trib. Roma, 16/5/2000, in Arch. loc., 2000, 608 ss.), se non addirittura di giuridica “esistenza” (così, in giurisprudenza di merito, Trib. Palermo, 20/11/2000, in Arch. Loc., 2001, 114 ss. ), del contratto di locazione.

 

Nel porsi in rilievo come a fronte della liberalizzazione del corrispettivo delle locazioni abitative il legislatore del 1998 abbia inteso promuovere l’emersione del fenomeno delle locazioni “in nero”, e cioè contrastare con uno strumento affatto nuovo il c.d. mercato sommerso degli affitti e il fenomeno della evasione ed elusione fiscale (favorito anche dal ricorso alla simulazione parziale del canone), si è al riguardo in dottrina sottolineato come si sia a tale stregua dal legislatore voluto superare la tesi dell’irrilevanza della violazione degli obblighi tributari ai fini della validità del contratto, secondo cui la violazione degli obblighi fiscali costituisce una mera “irregolarità fiscale” non comportante alcuna “nullità civilistica”, sotto profili diversi da quelli civilistici sanzionata.

 

La registrazione del contratto è stata quindi in dottrina e giurisprudenza diversamente intesa come “presupposto legale estrinseco di validità del negozio giuridico”, la “mancata registrazione” indicandosi quale “causa di invalidità speciale della clausola dissimulata”, integrante un’ipotesi di nullità speciale di protezione.

 

Si è altresì adombrata la tesi secondo cui la registrazione del contratto costituisce una mera condicio iuris di efficacia di un negozio invero perfetto e valido (per la considerazione della registrazione quale mera condizione di esigibilità del canone, incidente sulla sola efficacia del contratto, v., in giurisprudenza di merito, Trib. Galatina, 9/1/2000, Trib. Modena, 13/11/2001 e Trib.

 

Pordenone, 19/1/2002, in Rass. loc., 2003, 64 ss.).

 

Costruzione, quest’ultima, che come obiettatosi in dottrina non offre peraltro logica spiegazione della previsione L. n. 431 del 1998, ex art. 13, comma 2, attribuente al conduttore l’azione di ripetizione, non sembrando invero ammissibile un diritto alla ripetizione di somme corrisposte in virtù di un patto divenuto successivamente efficace.

 

La soluzione accolta da Cass. n. 16089 del 2003 si è in dottrina sostenuto palesarsi in realtà contraria non solo alla lettera ma anche alla ragione della norma in argomento.

 

Si è al riguardo in particolare criticamente osservato che la norma di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, non fa espressamente riferimento ad alcuna distinzione tra pattuizioni cronologicamente anteriori o posteriori; e che il principio di invariabilità del canone originariamente fissato per tutta la durata del contratto non sembra trovare una specifica ed appropriata sanzione nell’istituto della registrazione nè in caso di accordo simulatorio.

 

Si è posta ulteriormente la questione dell’adempimento tardivo dell’obbligo di registrazione del contratto, e della relativa idoneità a “sanare” l’invalidità con efficacia ex nunc ovvero ex tunc, soluzione quest’ultima logicamente necessitata per la tesi della relativa configurabilità in termini di sopravvenuta condizione di efficacia.

 

Si è da alcuni in dottrina sottolineato che la norma introdotta dal legislatore del 1998 è in effetti volta a tutelare non solo e non tanto l’interesse privato del contribuente “debole” individuato nel conduttore, quanto piuttosto l’interesse generale ad evitare l’evasione e l’elusione fiscale da parte del locatore.

 

Si è ulteriormente evidenziato che la forza dissuasiva dall’evasione e dall’elusione fiscale risulta invero attenuata, se non del tutto vanificata, dal riconoscimento di efficacia ex tunc alla registrazione tardiva della controdichiarazione contemplante un canone superiore; e che, per altro verso, la soluzione della rilevanza ex nunc della registrazione tardiva penalizza la pretesa impositiva del Fisco sulla maggior somma.

 

Si è negato, ancora, che all’argomento secondo cui risulterebbe irrazionale la maggiore indulgenza per la totale inadempienza fiscale (evasione) rispetto alla meno grave ipotesi della registrazione di un contratto contemplante un canone inferiore a quello effettivamente corrisposto dal conduttore (elusione) possa riconoscersi il decisivo rilievo da molti attribuito.

 

In dottrina si è per altro verso paventato che l’interpretazione della registrazione in termini di requisito o presupposto di validità del contratto possa prospettare la violazione dell’art. 41 Cost., restando in tal caso l’iniziativa economica “limitata non per ragioni superiori di utilità economico-sociale, ma esclusivamente per il perseguimento dell’interesse fiscale da parte dell’amministrazione”.

 

Se ne è quindi tratto il corollario della necessità di ribadire il principio della separazione ed autonomia dell’interesse fiscale rispetto a quello proprio della contrattazione civilistica.

 

Ad ulteriore conferma di un tanto si è – anche in giurisprudenza – evocato pure il tenore del c.d. Statuto del contribuente, il quale alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, dispone che “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”, quantomeno con riferimento ai contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, (c.d. legge finanziaria per l’anno 2005) (v. Cass., 3/4/2009, n. 8148).

 

Orbene, il Collegio ritiene che alcune delle sopra riportate osservazioni non siano prive di fondamento, e che anche ulteriori ragioni inducano invero a dubitare di poter continuare a confermare l’orientamento posto dalla citata pronunzia Cass. n. 16089 del 2003 e successivamente consolidatosi.

 

Perplessità suscita anzitutto la finalità di invarianza per tutta la durata del contratto del canone originariamente convenzionalmente determinato dalle parti in tale arresto ravvisatasi perseguita dal legislatore del 1998 con l’introduzione in particolare della disposizione di cui alla citata L. n. 431, art. 13, (secondo cui “E’ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”).

 

Attesa la libera determinabilità del canone ad opera delle parti contrattuali, sembra infatti che se non altro in relazione ai contratti come nella specie L. n. 431 del 1998, ex art. 2, comma 1, il legislatore abbia per converso inteso al riguardo superare il previgente regime vincolato dell’equo canone, alla locazione di immobili ad uso abitativo estendendo la disciplina ai sensi degli artt. 32 e 79, L. Loc. già applicabile alle locazioni ad uso diverso secondo cui era da ritenersi legittima (anche) la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto ovvero con variazioni in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati, del tutto diversi e indipendenti rispetto alla variazioni annue del potere di acquisto della moneta (in tali termini v., da ultimo, Cass., 28/8/2013, n. 19802).

 

Diversamente da quanto in passato pure da questa Corte affermato (v.

 

Cass., 7/4/2010, n. 8230), appare non potersi in effetti ritenere che solamente all’esito dell’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, la norma tributaria sia stata “elevata al rango di norma imperativa”, con conseguente “nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 c.c.” in caso di relativa violazione (cfr., in diverso ambito, Cass., Sez. Un., 17/12/1984, n. 6600).

 

Trattasi infatti di principio in realtà immanente dell’ordinamento, del quale la norma speciale di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 13, costituisce specifica e puntuale estrinsecazione.

 

Con la novella del 1998 il legislatore ha invero inteso proprio – come sopra esposto – contrastare il c.d. mercato sommerso degli affitti e il fenomeno della evasione ed elusione fiscale, perseguendo l’emersione del fenomeno delle locazioni “in nero”.

 

A tale stregua, non appaiono allora condivisibili in particolare gli assunti secondo cui:

 

a) la mancata registrazione del contratto di locazione non determina nullità (non essendo stata la registrazione del contratto di locazione elevata a requisito di validità del contratto);

 

b) la correlazione della nullità della pattuizione di un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato con l’omessa registrazione del patto recante la maggiorazione non è desumibile dal tenore della L. n. 431 del 1998, art. 13, commi 1 e 2;

 

c) il contratto scritto ma non registrato è valido, stante la “palese irragionevolezza” della tesi secondo cui si sia voluto sanzionare con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione alla imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quella eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata, laddove tale sanzione non è viceversa prevista in caso di totale omissione dell’adempimento;

 

d) si configura nel caso in esame, come sostenuto dall’odierno ricorrente, una valida ipotesi di simulazione relativa, il canone essendo soltanto quello effettivamente voluto dalle parti risultante dalla “controdichiarazione”.

 

Orbene, decisivo rilievo assume al riguardo la circostanza che l’orientamento interpretativo posto dalla citata Cass. n. 16089 del 2003 è invero maturato allorquando questa Corte non era ancora pervenuta a recepire le teorie della causa concreta del contratto e dell’abuso del diritto.

 

In considerazione della segnalata “finalità fiscale” della normativa in argomento, deve aversi in realtà riguardo alla sostanza dell’operazione posta in essere dalle parti, sicuro indice rivelatore essendo costituito dalla causa concreta del negozio, altro e diverso dal contratto scritto e già registrato, dalle parti stipulato (che di quello sia successivo, coevo o financo anteriore).

 

In quanto contemplante un canone superiore rispetto all’importo a tale titolo indicato nel contratto scritto e registrato, tale patto risulta invero funzionalmente volto a realizzare proprio il risultato vietato dalla norma, a garantire cioè al locatore di ritrarre dal concesso godimento dell’immobile un reddito superiore rispetto a quello assoggettato ad imposta (nel caso, di registro).

 

Esso costituisce allora lo strumento dal locatore in particolare piegato al conseguimento dello specifico risultato vietato dalla norma, e cioè il risparmio d’imposta.

 

La causa concreta di tale patto consente tuttavia di disvelare siffatta finalità di elusione fiscale, deponendo per la conseguente relativa nullità.

 

Diversamente da quanto da Cass. n. 16089 del 2003 affermato, tale patto non può allora riconoscersi come valido ed efficace, impingendo esso nel risultato vietato in violazione dell’interesse pubblicistico sotteso alla norma fiscale elusa.

 

Come questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha (in diverse fattispecie ma) in termini generali avuto modo di affermare, la norma tutelante interessi pubblicistici si profila per ciò stesso come imperativa ed inderogabile, non soltanto nei rapporti tra P.A. e privato (cfr.

 

Cass., Sez. Un., 17/6/1996, n. 5520) ma anche nei rapporti tra privati (v. Cass., Sez. Un., 17/12/1984, n. 6600. V. altresì Cass., 17/12/1993, n. 12495, e, in tema di locazioni, Cass., 4/2/1992, n. 1155. Contra v. peraltro Cass., 22/3/2004, n. 5672; Cass., 20/3/1985, n. 2034. V. anche Cass., 15/12/2003, n. 19190, e, in tema di locazioni, Cass., 17/12/1985, n. 7412).

 

Gli interessi pubblici sono infatti indisponibili da parte dei privati, cui non può ritenersi concesso di vanificare gli interessi pubblicistici tutelati mediante l’adozione di schemi negoziali comunque idonei a pervenire in concreto ad un risultato corrispondente a quello vietato dal legislatore (cfr., Cass., 7/10/2008, n. 24769).

 

A tale stregua, quand’anche si ricostruisse la vicenda in argomento non già, come ritenuto dalla corte di merito nell’impugnata decisione, in termini di successione di due contratti dei quali il secondo è nullo in quanto “contra legem, volto … a realizzare un’evasione fiscale a vantaggio del locatore”, bensì, come sostenuto dall’odierno ricorrente, in termini di “intesa simulatoria vertente sul prezzo, per meri fini fiscali”, la complessa operazione simulatoria posta in essere il “contratto di locazione 1.3.2003 (con canone pari a Euro 387,35)” e la “scrittura privata a latere coeva al primo contratto (con canone integrato di Euro 1.262,65), il tutto per un corrispettivo totale di Euro 1.700,00, comprensivo di Euro 50,00 per spese consortili” comunque emergerebbe con tutta evidenza nella sua intima realtà di strumento negoziale funzionalmente volto ad eludere i diritti di terzi, e in particolare del Fisco.

 

In considerazione dello scopo pratico dalle parti (e in particolare ad una di esse, il locatore) con tale stipulazione appunto perseguito, e pertanto della relativa causa concreta (causa concreta che come questa Corte ha già avuto modo di affermare si sostanzia nell’interesse o scopo pratico anche tacitamente obiettivato che la specifica operazione contrattuale posta in essere dalle parti è funzionalmente diretta a soddisfare: per l’accoglimento della teoria della causa concreta, con superamento del tradizionale orientamento che ravvisava nella causa l’astratta funzione economico sociale del contratto, v. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26973; Cass., 7 ottobre 2008, n. 24769; Cass., 24 aprile 2008, n. 10651; Cass., 20 dicembre 2007, n. 26958; Cass., 11 giugno 2007, n. 13580; Cass., 22/8/2007, n. 17844; Cass., 24 luglio 2007, n. 16315; Cass., 27 luglio 2006, n. 17145; Cass., 8 maggio 2006, n. 10490; Cass., 14 novembre 2005, n. 22932; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20816; Cass., 21 ottobre 2005, n. 20398. V. altresì Cass., 7 maggio 1998, n. 4612;

 

Cass., 16 ottobre 1995, n. 10805; Cass., 6 agosto 1997, n. 7266;

 

Cass., 3 giugno 1993, n. 3800. Più recentemente v. Cass., 25 febbraio 2009, n. 4501; Cass., 12 novembre 2009, n. 23941; Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3947; Cass., 18 marzo 2010, n. 6538;

 

Cass., 1 aprile 2011, n. 7557. E, da ultimo, Cass., 3 aprile 2013, n. 8100), essa si rivela pertanto come imprescindibilmente connotata dalla vietata finalità di elusione fiscale, e, pertanto, conseguentemente affetta da invalidità.

 

Nè può riconoscersi invero rilievo in contrario alla suindicata norma L. n. 311 del 2004, ex art. 1, comma 346, che, a parte quanto già più sopra osservato, in ragione del suo carattere generale è – anche per il tempo di relativa vigenza – in ogni caso inidonea a derogare la norma speciale prevista alla L. n. 431 del 1998, art. 13, in argomento.

 

Va d’altro canto posto in rilievo come successivamente alla suindicata pronunzia Cass. n. 16089 del 2003, oltre alla teoria della causa concreta del contratto, questa Corte sia pervenuta a recepire ed elaborare l’istituto dell’abuso del diritto (v. Cass., 18/9/2009, n. 20106; Cass., 15/10/2012, n. 17642), in tema di imposte in particolare precisando che l’esame delle operazioni poste in essere dal contribuente deve essere in ogni caso compiuto alla stregua del principio desumibile dal relativo concetto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria (in materia fiscale v. in particolare Corte Giust., 21/2/2006, C-255/02), secondo cui non possono trarsi benefici da operazioni che, seppure realmente volute e quand’anche immuni da invalidità, risultino alla stregua di un insieme di elementi obiettivi compiute essenzialmente allo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale (v. Cass., 29/9/2006, n. 21221;

 

Cass., Sez. Un., 23/12/2008, n. 30055; Cass., 9/3/2011, n. 5583;

 

Cass., 28/6/2012, n. 10807; Cass., 30/11/2012, n. 21390, e, da ultimo, Cass., 6/12/2013, n. 27352).

 

Trattasi di un principio generale antielusivo desumibile dall’art. 53 Cost., non essendo pertanto necessario farsi necessariamente luogo all’accertamento della simulazione o del carattere fraudolento dell’operazione, trattandosi viceversa di valutare quest’ultima nella sua essenza, non potendo al riguardo influire ragioni economiche meramente marginali o teoriche, inidonee a fornire una spiegazione alternativa dell’operazione rispetto al mero risparmio fiscale, come tali quindi manifestamente inattendibili o assolutamente irrilevanti rispetto alla predetta finalità (v. Cass., 9/3/2011, n. 5583; Cass., Sez. Un., 23/12/2008, n. 30055; Cass., 21/4/2008, n. 10257; Cass., 29/9/2006, n. 21221).

 

Il negozio dalle parti posto in essere al fine di realizzare la vietata finalità di evasione o elusione fiscale non può dunque sotto plurimi profili (continuare a) ritenersi ammissibile e lecito.

 

Nè alla relativa tardiva registrazione può attribuirsi una qualche efficacia sanante, pregio non potendo al riguardo invero riconoscersi alla tesi che argomenta dal danno derivante al Fisco dalla preclusione della tassabilità del diverso patto recante canone maggiore rispetto a quello indicato nel contratto (già) scritto e registrato.

 

Rispetto alla maggiore tassazione del singolo contratto nell’intenzione del legislatore del 1998 ha fatto invero premio l’esigenza di porre in essere una disciplina che proprio in ragione della sua indefettibile applicazione e della relativa inidoneità a consentire alternative, ivi ricompresa la possibilità di fare ricorso a soluzioni aventi efficacia “sanante”, risulti idonea a rendere le parti contrattuali avvertite dell’imprescindibilità dell’assolvimento dell’obbligo fiscale su di esse incombente.

 

A tale stregua, l’imposta dovuta va allora senz’altro determinata con riferimento all’importo del canone indicato nel contratto scritto e registrato, e al locatore non è comunque consentito percepire legittimamente un canone maggiore di quello (originariamente) assoggettato ad imposta.

 

Ne consegue che, a parte quanto già più sopra osservato in ordine alla possibilità per le parti di originaria determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto ovvero con variazione in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati (cfr., da ultimo, la citata Cass., 28.7.2013, n. 19802), solamente in caso di nuovo accordo, novativo rispetto al precedente contratto scritto e registrato, risulta per le parti possibile modificare il precedente assetto negoziale, con conseguente relativo assoggettamento alla corrispondente imposizione fiscale.

 

Deve trattarsi invero non già come nella specie di una soluzione costituente mero escamotage per realizzare una finalità di elusione fiscale bensì di una contrattazione rispondente alla volontà delle parti rivelata dalla relativa causa concreta, non sostanziantesi nel mero risparmio d’imposta.

 

Orbene, ravvisando la necessità di rimeditare l’orientamento interpretativo delineato da Cass. n. 16089 del 2003 alla stregua dell’evoluzione interpretativa da questa Corte successivamente maturata in tema di causa concreta del contratto e di abuso del diritto; e in considerazione della circostanza che il rigetto del ricorso con conseguente conferma dell’impugnata decisione (al di là di una necessaria correzione della motivazione in particolare là dove, contraddittoriamente con quanto successivamente affermato, si riconosce nel caso “piena vigenza del primo contratto e del secondo, con un canone complessivo fissato negli stessi di Euro 1.700,00”) comporterebbe la necessità di farsi luogo ad un revirement di un orientamento interpretativo ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, al fine di evitarsi – in una materia connotata da una diffusissima contrattazione e caratterizzata da un’accentuata litigiosità – un contrasto potenzialmente foriero di disorientanti oscillazioni interpretative che potrebbero conseguirne, e comunque quale questione di massima di particolare importanza, il Collegio ritiene opportuno rimettere la questione al Primo Presidente per l’eventuale relativa assegnazione alla Sezioni Unite.

 

P.Q.M.

 

La Corte dispone la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

 

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2013.

 

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2014

 

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