Fallimento: i crediti per provvigioni non sono assistiti da privilegio

Tag 22 Dicembre 2013  |

[massima]

Intervengono le SSUU in merito alla disposizione di cui all’art. 2751-bis, n. 3, c.c. (inserito dalla Legge n. 426 del 1975).

La norma deve essere interpretata, in conformità con l’art. 3 Cost. ed in sintonia con la ratio sottesa allo stesso articolo 2751-bis c.c., e pertanto il privilegio dei crediti ivi stabilito non può applicarsi ai crediti per provvigioni spettanti alla società di capitali che eserciti l’attività di agente.

Cass. civ. Sez. Unite, 16/12/2013, n. 27986

 

 

 

[intestaz]

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONI UNITE CIVILI

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. PREDEN Roberto – Primo Presidente f.f. –

 

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente Sez. –

 

Dott. RORDORF Renato – Presidente Sez. –

 

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

 

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

 

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

 

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

 

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

 

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso 18433/2006 proposto da:

 

SANREMO ASSICURAZIONI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del Commissario Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio dell’avvocato IANNOTTA GREGORIO, che la rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

 

– ricorrente –

 

contro

 

DI BELLA ASSICURAZIONI S.R.L.;

 

– intimata –

 

sul ricorso 22424/2006 proposto da:

 

DI BELLA ASSICURAZIONI S.R.L., in persona dell’Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato DINACCI GIAMPIERO, che la rappresenta e difende, per delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

 

– controricorrente e ricorrente incidentale –

 

contro

 

SANREMO ASSICURAZIONI S.P.A. IN L.C.A.;

 

– intimata –

 

avverso la sentenza n. 319/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/01/2006;

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2013 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

 

udito l’Avvocato Giampiero DINACCI;

 

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, rimessione per il resto alla prima sezione civile.

 

 

 

[fatto]

1. – A seguito di opposizione allo stato passivo della Liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. Sanremo Assicurazioni e Riassicurazioni, proposta dalla s.r.l. Di Bella Assicurazioni ai sensi della L. Fall., artt. 209 e 98, il Tribunale di Roma, accogliendo la domanda della opponente, ammise un credito di quest’ultima, pari a L. 67.411.115, derivante dal rapporto di agenzia intrattenuto dalla Società Di Bella con la Società Sanremo, riconoscendo allo stesso credito collocazione privilegiata, ai sensi dell’art. 2751 bis c.c., n. 3).

 

2. – Tale sentenza fu impugnata, dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, con appello principale, dalla L. c. a. della Società Sanremo – la quale chiese la reiezione dell’opposizione allo stato passivo proposta dalla Società Di Bella, deducendo che questa non vantava alcun credito, e comunque del richiesto riconoscimento della natura privilegiata di eventuali crediti – e, con appello incidentale, dalla Società Di Bella, la quale chiese il riconoscimento dell’ulteriore credito di L. 57.921.836, da ammettersi al passivo parimenti in privilegio.

 

La Corte adita, con la sentenza n. 319/06 del 23 gennaio 2006, rigettò entrambi gli appelli, compensando le spese.

 

2.1. – Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte romana:

 

a) quanto all’appello principale della L. c. a. della Società Sanremo – concernente la contestata ammissione al passivo della somma di L. 67.411.115 -, lo ha respinto, richiamando le condivise analisi del consulente tecnico d’ufficio ed osservando che tali conclusioni trovano riscontro nelle scritture contabili della Società Di Bella regolarmente tenute, mentre l’appellante principale non ha fornito al c.t.u. i libri obbligatori richiesti, gli estratti conto bancari e la documentazione contabile utile, con la conseguenza che le scritture contabili della Società Di Bella fanno prova ai sensi dell’art. 2710 c.c., tenuto conto che la controparte, nella sede tecnica e nel giudizio di primo grado, ha contestato solo in modo generico le poste non riconosciute;

 

b) quanto alla questione del riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 3), a detto credito della Società Di Bella, nonostante che tale agente fosse società di capitali, ha richiamato l’orientamento affermativo della Corte di cassazione, di cui alle sentenze nn. 10241 del 1992, 6236 del 1999, 8171 del 2000;

 

c) quanto all’appello incidentale della Società Di Bella – concernente la mancata ammissione dell’ulteriore credito di L. 57.921.836 -, lo ha respinto, osservando: “Parimenti va rilevata l’infondatezza dell’appello incidentale volto al recupero della somma di L. 57.921.836 e che l’agente subentrato Di Bella ASS. rivendica in base all’art. 37, comma 1, dell’Accordo Nazionale Agenti Assicurativi secondo cui, in caso di scioglimento del contratto di agenzia, l’agente e i suoi eredi sono esonerati dal pagamento delle rate di rivalsa ancora non scadute; e tanto per la considerazione che la società Di Bella nel rapporto di dare ed avere intercorso con la preponente non ha inteso avvalersi della detta esenzione, contenuta in un Accordo Nazionale derogabile, mantenendo il correlativo debito nei confronti della preponente Sanremo, nonostante che la Di Bella avesse effettuato diverse scritture di rettifica per sopravvenienze attive relative a queste ed altre voci di debito che deve ritenersi consolidato, attesocchè, nonostante le richieste del c.t.u. di documentazione di storno, la stessa non è stata fornita, dovendosi infine considerare al riguardo che seppure dovesse aderirsi alla tesi dell’appellante incidentale della necessità di un atto scritto derogatorio, lo stesso sarebbe ai sensi dell’art. 1742 c.c., comma 2, necessario ad probationem e, nel caso, sarebbe costituito proprio dall’appostazione nelle scritture contabili di detto debito”.

 

3. – Avverso tale sentenza la Liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. Sanremo Assicurazioni e Riassicurazioni ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, illustrati con memoria.

 

Resiste, con controricorso illustrato da memoria, la s.r.l. Di Bella Assicurazioni, la quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su un unico motivo.

 

4. – La Prima Sezione civile, cui i ricorsi erano stati assegnati, con ordinanza interlocutoria n. 17366 dell’11 ottobre 2012, ravvisando un contrasto di giurisprudenza, ha trasmesso i ricorsi al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite.

 

Al riguardo, il Collegio rimettente ha osservato quanto segue:

 

“Con il primo motivo di ricorso, la compagnia di assicurazioni in LCA, denunciando violazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 3, nonchè vizio di motivazione, lamenta che la Corte territoriale abbia riconosciuto collocazione privilegiata al credito vantato da Di Bella Ass.ni s.r.l. e richiama, a conforto de proprio assunto, la sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 1 del 2000, la quale, rilevando che l’art. 2751 bis c.c., è stato introdotto dal legislatore allo scopo di attribuire anche ai crediti dei lavoratori autonomi una tutela di grado pari a quello già riconosciuta ai lavoratori subordinati, assegnando loro il primo posto nell’ordine di prelazione di cui all’art. 2788 c.c., ha escluso che nell’ambito applicativo di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 3, potessero essere inclusi i crediti per provvigioni delle società di capitali. Sulla questione, tuttavia, anche dopo la sentenza del Giudice delle leggi, si registra un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte.

 

Secondo un primo, prevalente orientamento, l’art. 2751 bis c.c., n. 3, nell’accordare privilegio generale sui mobili alle provvigioni ed indennità derivanti dal rapporto di agenzia, trova applicazione indipendentemente dal fatto che l’agente/creditore sia una persona fisica ovvero una società (tanto di persone, quanto di capitali), tenuto conto che la norma, a differenza delle altre disposizioni contenute nello stesso articolo, non contiene alcuna specificazione sui soggetti titolari del credito che possa comportare una limitazione alla sua causa, ma fa esclusivo riferimento al rapporto cui esso consegue (Cassazione civile, sez. 1, 15.6.2000, n. 8171;

 

Cassazione civile, sez. 2, 17.3.2009, n. 6481; Cassazione civile sez. 1, 14.5.2012, n. 7433). Secondo un diverso orientamento (a quanto consta espresso soltanto da Cassazione civile, sez. 1, 14/06/2000, n. 8114) l’art. 2751 bis c.c., nell’accordare privilegio generale sui mobili alle provvigioni ed indennità derivanti dal rapporto di agenzia, intende riferirsi ai soli creditori che siano persone fisiche, con esclusione dei casi in cui l’attività di agente sia svolta da società di capitali, attesa la ratio dell’intero articolo, che è quella di favorire i prestatori d’opera che, al pari dei lavoratori subordinati, traggono dalla loro attività i mezzi per soddisfare i bisogni propri e della propria famiglia. Nell’occasione, il collegio decidente non ha mancato di rilevare che l’interpretazione contraria (come si è detto, esclusa dalla Corte Cost. nella sentenza n. 1 del 2000) non si sottrarrebbe a censure di illegittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost., in quanto attribuirebbe alle società di capitali un privilegio uguale a quello dei lavoratori intellettuali autonomi e poziore rispetto a quello dei coltivatori diretti e degli artigiani – i cui crediti sono posposti, nell’ordine dei privilegi, ex art. 2751 bis c.c., citato, a quelli dei professionisti e degli agenti – con un’ingiustificata equiparazione di situazioni diverse”.

 

5. – Disposta l’assegnazione dei ricorsi alle sezioni unite, la s.r.l. Di Bella Assicurazioni ha depositato ulteriore memoria.

 

6. – All’esito dell’odierna udienza di discussione, il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, e per la rimessione dei residui motivi dei ricorsi alla Prima Sezione Civile.

 

 

 

[diritto]

1. – Preliminarmente, i ricorsi nn. 18433 e 22424 del 2006, proposti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

 

2. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 3, nonchè dei principi e norme che escludono l’applicabilità del privilegio ai crediti degli agenti, società di capitali: art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., n. 5”), la ricorrente principale critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione – nella parte in cui ha confermato l’ammissione al passivo, in via privilegiata, del credito di L. 67.411.115, fatto valere a titolo di provvigioni dalla s.r.l. Di Bella Assicurazioni, società di capitali -, richiamando a supporto le contrarie argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2000.

 

Con il secondo motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè dei principi e norme in tema di onere della prova: art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè dei principi e norme che regolano la valutazione delle prove: art. 360 c.p.c., n. 3.

 

Violazione e falsa applicazione dell’art. 2710 c.c., nonchè dei principi e norme che regolano la prova tra imprenditori: art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., n. 5”), la ricorrente principale critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione – nella parte in cui ha confermato l’ammissione al passivo del credito di L. 67.411.115, nonostante la documentata deduzione, secondo cui la Società Di Bella non vantava alcun credito -, sostenendo che i Giudici a quibus hanno acriticamente recepito la ricostruzione contabile operata dal consulente tecnico d’ufficio sulla base della sola documentazione della Società Di Bella senza alcun riscontro della contabilità della Società Sanremo.

 

3. – Con l’unico motivo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1321 c.c., art. 1742 c.c., comma 2, artt. 2722 e 2723 c.c., e art. 2729 c.c., comma 2, – art. 360 c.p.c., n. 3”), la ricorrente incidentale critica a sua volta la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici a quibus hanno omesso di considerare un debito ulteriore della Società Di Bella per l’acquisizione del portafoglio.

 

4. – Il primo motivo del ricorso principale merita accoglimento.

 

4.1. – La questione che esso pone, sulla quale si è determinato il contrasto di giurisprudenza rilevato con la menzionata ordinanza di rimessione a queste Sezioni Unite (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 4.), consiste nello stabilire se il privilegio dei crediti, di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 3), inserito dalla L. 29 luglio 1975, n. 426, art. 2, (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi) – che dispone:

 

“Hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti: … 3) le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per l’ultimo anno di prestazione e le indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo” -, assista o no i crediti per provvigioni spettanti alle società di capitali che esercitino l’attività di agente.

 

4.1.1. – Il quadro normativo di riferimento, in base al quale tale questione – decisa in senso difforme dalle sezioni semplici (cfr., infra, n. 4.2.) – deve essere esaminata e risolta, è costituito dal combinato disposto dell’art. 2751 bis, n. 3), e art. 2777 c.c. (che reca la rubrica: “Preferenza delle spese di giustizia e di altri crediti”), comma 2, lett. b), – secondo cui: “Immediatamente dopo le spese di giustizia sono collocati i crediti aventi privilegio generale mobiliare di cui all’art. 2751 bis nell’ordine seguente: …

 

b) i crediti di cui all’art. 2751 bis, nn. 2 e 3; …” -, dalla L. 3 maggio 1985, n. 204, art. 6, (Disciplina dell’attività di agente e rappresentante di commercio), dal D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, art. 74, (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), e dal D.Lgs. 6 agosto 2012, n. 147, art. 12, (Disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, recante attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno), che disciplinano anche l’attività di agente esercitata in forma di impresa.

 

Tale quadro normativo di riferimento, inoltre, non può assolutamente prescindere dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 7 gennaio 2000, con la quale la Corte, investita dal Tribunale ordinario di Vicenza – chiamato a decidere, come nella specie, sulla collocazione privilegiata o chirografaria di un credito vantato da una società a responsabilità limitata a titolo di provvigioni derivanti da un rapporto di agenzia – della questione di legittimità costituzionale, “in riferimento all’art. 3 Cost. … dell’art. 2751 bis c.c., n. 3, (e, per quanto occorra, dell’art. 2777 c.c., comma 2, lett. b), nella parte in cui dette norme attribuiscono natura privilegiata ai crediti per provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia e alle indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo, indipendentemente dalla qualità rivestita dal soggetto creditore” (cfr. n. 1. del Considerato in diritto), ha dichiarato “non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2751 bis c.c., n. 3, e art. 2777 c.c., comma 2, lett. b), sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.”.

 

Questo tipo di dispositivo – di non fondatezza della questione sollevata, “nei sensi di cui in motivazione” appunto – esige, innanzitutto, la riproduzione integrale della motivazione in diritto di tale pronuncia della Corte costituzionale, perchè solo dall’attenta lettura di essa può essere individuata la ratio decidendi della dichiarata non fondatezza della questione medesima, in riferimento al parametro costituzionale evocato (art. 3 Cost.), e richiede, in secondo luogo, di stabilire quale efficacia abbia una pronuncia siffatta, cioè, in particolare, se e quale vincolo ne derivi per tutti i giudici comuni (diversi dal giudice a quo che ha rimesso detta questione di legittimità costituzionale), ivi compresa quindi questa Corte, chiamati ad applicare, come nella specie, le disposizioni oggetto della pronuncia medesima.

 

4.1.2. – La motivazione in diritto della Corte costituzionale è la seguente:

 

“… 2. – La questione non è fondata, nei sensi di seguito precisati. 2.1. – La premessa interpretativa da cui il rimettente muove, pur affermandone la incostituzionalità, è quella – conforme alla giurisprudenza di legittimità – secondo la quale il privilegio previsto dalla norma denunciata assisterebbe i crediti per provvigioni e indennità, comunque derivanti dal rapporto di agenzia, senza dover distinguere, sotto il profilo soggettivo, se l’agente sia una persona fisica o una società. Tale tesi si fonda essenzialmente sul tenore letterale della norma che – diversamente dalle altre contenute nel medesimo art. 2751 bis – riconosce il privilegio di cui si tratta con riferimento non già ai soggetti titolari dei crediti, ma al tipo di credito (le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia… e le indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo), con esclusione di qualsiasi considerazione di natura soggettiva. 2.2. – L’interpretazione accolta dal rimettente non è, tuttavia, la sola consentita dal testo e dalla ratio della disposizione impugnata, che può essere infatti intesa, in conformità alla giurisprudenza di merito e alla dottrina prevalenti, in un senso del tutto diverso, tale da superare il denunciato contrasto con l’art. 3 Cost.. 2.3. – Va ricordato, al fine di una esatta ricostruzione del significato della disposizione, come l’art. 2751 bis, sia stato introdotto nel codice civile dalla L. 29 luglio 1975, n. 426, art. 2, (Modificazioni al codice civile e alla L. 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi), allo scopo, reso palese dai lavori preparatori, di attribuire ai crediti dei lavoratori autonomi una tutela di grado pari a quello già riconosciuto dalla L. n. 153 del 1969, ai crediti dei lavoratori subordinati, assegnando loro il primo posto nell’ordine di prelazione di cui all’art. 2778 c.c.. Nella relazione alla prima delle proposte di legge successivamente unificate (la n. 146 presentata il 30 maggio 1972) si afferma espressamente, a sostegno della necessità di una tale parificazione, che la ratio legis dell’art. 2751, nn. 4, 5 e 6, corrispondenti ora all’art. 2751 bis, nn. 1, 2 e 3, era infatti la medesima: quella cioè di tutelare i crediti per prestazione di attività lavorativa in forma sia subordinata che autonoma, secondo il dettato dell’art. 35 Cost.. La medesima esigenza di tutela del lavoro risulta altresì posta espressamente a base dell’emendamento – successivamente approvato con ulteriori modificazioni – diretto ad attribuire analogo privilegio generale sui mobili del debitore anche ai crediti dei coltivatori diretti e delle imprese artigiane (divenuti i nn. 4 e 5, dell’art. 2751 bis). Sembra perciò difficile contestare che la ratio dell’intero art. 2751 bis c.c., sia quella di riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore. Ratio che, del resto, inequivocamente, afferma lo stesso giudice di legittimità in riferimento alle altre ipotesi di privilegio previste dallo stesso articolo, pervenendo, in tal modo, a negare il riconoscimento della prelazione a favore dei creditori diversi dalle persone fisiche (o dai soggetti espressamente considerati nei numeri 5 e 5 bis). 2.4. – L’assimilazione, quanto ai privilegi, delle società di capitali alle persone fisiche comporterebbe, dunque, una ingiustificata equiparazione di situazioni diverse. Pertanto, alla stregua del canone ermeneutico rappresentato dalla ratio legis e di quello, più volte enunciato da questa Corte, secondo cui tra più significati possibili occorre preferire quello conforme a Costituzione, le disposizioni denunciate devono essere interpretate nel senso di escludere dal loro ambito applicativo i crediti delle società di capitali, per la diversità causale di tali crediti rispetto a quelli che il legislatore ha inteso tutelare. Con conseguente dichiarazione di infondatezza della censura di violazione dell’art. 3 Cost., sollevata dal rimettente in base ad una diversa lettura della norma denunciata” (nn. da 2. a 2.4. del Considerato in diritto).

 

4.1.3. – All’individuazione della ratio decidendi di tale sentenza si perviene analizzando i singoli passaggi argomentativi dell’ora riprodotta motivazione. Al riguardo, può osservarsi che la Corte, in particolare: a) afferma che l’interpretazione da cui muove il giudice a quo, si badi bene “conforme alla giurisprudenza di legittimità” – secondo la quale il privilegio, di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 3, assiste i crediti ivi previsti comunque derivanti dal rapporto di agenzia senza alcuna distinzione, sotto il profilo soggettivo, tra l’agente-persona fisica e l’agente-società, fondandosi così essenzialmente sul tenore letterale della norma che, diversamente dalle altre contenute nel medesimo art. 2751 bis, riconosce il privilegio “con riferimento non già ai soggetti titolari dei crediti, ma al tipo di credito …, con esclusione di qualsiasi considerazione di natura soggettiva” -, “non è, tuttavia, la sola consentita dal testo e dalla ratio della disposizione impugnata, che può essere infatti intesa, in conformità alla giurisprudenza di merito e alla dottrina prevalenti, in un senso del tutto diverso, tale da superare il denunciato contrasto con l’art. 3 Cost.”) b) identifica, anche sulla base dell’esame dei lavori preparatori della L. n. 426 del 1975, la “ratio dell’intero art. 2751 bis c.c., in quella di riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore. Ratio che, del resto, inequivocamente, afferma lo stesso giudice di legittimità in riferimento alle altre ipotesi di privilegio previste dallo stesso articolo, pervenendo, in tal modo, a negare il riconoscimento della prelazione a favore dei creditori diversi dalle persone fisiche (o dai soggetti espressamente considerati nei nn. 5 e 5 bis)”; c) afferma altresì – e ciò è decisivo – che “L’assimilazione, quanto ai privilegi, delle società di capitali alle persone fisiche comporterebbe, dunque, una ingiustificata equiparazione di situazioni diverse”; d) conclude nel senso che, “alla stregua del canone ermeneutico rappresentato dalla ratio legis e di quello, più volte enunciato da questa Corte, secondo cui tra più significati possibili occorre preferire quello conforme a Costituzione, le disposizioni denunciate devono essere interpretate nel senso di escludere dal loro ambito applicativo i crediti delle società di capitali, per la diversità causale di tali crediti rispetto a quelli che il legislatore ha inteso tutelare. Con conseguente dichiarazione di infondatezza della censura di violazione dell’art. 3 della Costituzione sollevata dal rimettente in base ad una diversa lettura della norma denunciata”.

 

In sintesi, la ratio decidendi della sentenza della Corte costituzionale sta, dunque, in ciò, che l’interpretazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 3), operata (dal giudice a quo e) dalla “giurisprudenza di legittimità”, conducendo ad una “assimilazione, quanto ai privilegi, delle società di capitali alle persone fisiche”, “comporterebbe una ingiustificata equiparazione di situazioni diverse” in violazione dell’art. 3 Cost., e che, tuttavia, la diversa interpretazione del combinato disposto dell’art. 2751 bis c.c., n. 3, e art. 2777 c.c., comma 2, lett. b), “nel senso di escludere dal loro ambito applicativo i crediti delle società di capitali, per la diversità causale di tali crediti rispetto a quelli che il legislatore ha inteso tutelare” – lettura coerente sia con la ratio legis sia con il canone dell’interpretazione cosiddetta “adeguatrice” a Costituzione – è da “preferire”, perchè “tale da superare il denunciato contrasto con l’art. 3 Cost.”.

 

Non v’è dubbio, pertanto, che la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2000 è annoverabile – non già tra le decisioni meramente “correttive” dell’interpretazione della legge ordinaria prospettata dal giudice rimettente, ma – tra le sentenze cosiddette “interpretative di rigetto”, nelle quali sono decisivi, invece, sia l’interpretazione della disposizione della legge ordinaria alla luce dei principi costituzionali (come nella specie: art. 3 Cost.), sia il dispositivo adottato (come nella specie: “nei sensi di cui in motivazione”).

 

Così qualificata tale sentenza, resta da stabilire, come già osservato, quale efficacia abbia nei confronti di tutti i giudici comuni chiamati ad applicare, come nella specie, le disposizioni oggetto della sentenza medesima. Questione che sarà affrontata dopo l’esame della giurisprudenza di questa Corte sul tema, nell’ambito della quale si è determinato il contrasto denunciato.

 

4.2. – L’unica – a quanto consta – sentenza che si è conformata alla interpretazione “adeguatrice”, di cui alla predetta decisione costituzionale, è la n. 8114 del 14 giugno 2000 della Prima Sezione, successiva alla decisione medesima, la cui ratio decidendi si fonda sostanzialmente sulle argomentazioni del Giudice delle leggi.

 

Invece, tutte le altre pronunce della Prima e della Seconda Sezione, precedenti (sentenze nn. 75 del 1986, 8756 e 10241 del 1992, 6236 del 1999) – come puntualmente rilevato dalla stessa Corte costituzionale – e successive (sentenze nn. 8171 del 2000, 6481 del 2009, 7433 del 2012) alla sentenza costituzionale n. 1 del 2000, hanno univocamente confermato l’orientamento, secondo cui il privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 3, assiste i crediti per provvigioni e indennità comunque derivanti dal rapporto di agenzia, in quanto tale disposizione non distingue, sotto il profilo soggettivo, se l’agente sia una persona fisica o una società: tesi questa che si fonda esclusivamente sul tenore letterale della disposizione che – diversamente dalle altre contenute nel medesimo art. 2751-bis – riconosce il privilegio de quo con riferimento non già ai soggetti titolari dei crediti, ma al tipo di credito, con esclusione di qualsiasi considerazione di natura soggettiva.

 

Analizzando le sentenze successive alla pronuncia costituzionale n. 1 del 2000, è da rilevare, in particolare che:

 

a) la sentenza n. 8171 del 2000, da un lato, ignora tale pronuncia, dall’altro, supporta la tesi maggioritaria richiamando la precedente sentenza della stessa Corte costituzionale n. 55 del 27 febbraio 1996, con la quale era stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 2751 bis c.c., n. 3), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., “nella parte in cui non limita il riconoscimento del privilegio a favore dei crediti dell’agente all’ipotesi dell’agente-persona fisica ed a quella dell’agente-società di persone sempre che in tali società l’attività di agente sia direttamente svolta dagli agenti-soci ed il lavoro abbia funzione preminente sul capitale” (cfr., infra, n. 4.3.);

 

b) la sentenza n. 6481 del 2009 – nel ribadire l’orientamento maggioritario, e pur menzionando anche la sentenza interpretativa della Corte costituzionale n. 1 del 2000 – precisa che “tuttavia, anche questa sentenza, se esclude la possibilità di munire di privilegio i crediti per provvigioni e per indennità varie derivanti da un rapporto di agenzia, allorquando agente sia una società di capitali, non pone invece in discussione ciò che qui rileva, e cioè la spettanza anche all’agente che esplichi la propria attività nella forma della società di capitali del diritto a percepire … le indennità connesse a tale rapporto, e tra queste quella di scioglimento del rapporto medesimo”;

 

c) la recente sentenza n. 7433 del 2012 – pronunciata in una fattispecie del tutto analoga a quella in esame (una società a responsabilità limitata, esercente l’attività di agente, aveva chiesto, in sede di opposizione allo stato passivo, il riconoscimento del privilegio a crediti derivanti dal rapporto di agenzia) – ha ribadito l’orientamento maggioritario, pur richiamando le sentenze della Corte costituzionale nn. 55 del 1996 e 1 del 2000: al riguardo, ha, in particolare, osservato: “La preferenza, testualmente accordata non già alla condizione soggettiva dell’agente ma alla natura dell’attività da esso espletata, esprime l’insindacabile scelta del legislatore di valorizzare il dato oggettivo equiparandolo all’attività esercitata dalle altre categorie professionali e lavorative considerate nel medesimo contesto, a loro volta evidentemente prescelte in relazione alle particolari connotazioni del rapporto contrattuale da cui origina la prevista qualificata veste personale. Su questo quadro ricostruttivo, secondo quanto già rilevato nel citato precedente sentenza n. 8171 del 2000, non hanno spiegato incidenza gli interventi della Corte delle leggi nn. 55/1996 e 1/2000, sollecitata alla definizione del privilegio in discorso in riferimento alla presunta violazione dell’art. 3 Cost., in relazione alla parità, affermata nel diritto vivente, tra profitto ricavato dall’agente operante in forma societaria e salario. Il dato testuale, secondo quanto si afferma nei citati arresti, rimasto inalterato benchè la norma esaminata abbia inteso garantire le categorie dei crediti considerati nella prospettiva (chiaramente risultante dalla discussione parlamentare che ha accompagnato la formazione della L. n. 426 del 1975 citata) di un allargamento della tutela del lavoro personale in senso stretto e di quello a quest’ultimo assimilabile citazione tratta da Corte costituzionale, sentenza n. 55 del 1996, n. 2. del Considerato in diritto, consente una pur possibile ricostruzione sistematica che operi una distinzione nell’ambito della categoria dell’agente sì da riservare il privilegio unicamente all’agente persona fisica o società in cui l’apporto del fattore lavoro sia preminente rispetto a quello del capitale ibidem. La possibile ermeneusi costituzionalmente orientata rimessa al giudicante, che comporta l’inammissibilità della relativa questione di legittimità costituzionale, in quanto intesa a proporre l’adozione di un modello normativo, correlato alla struttura soggettiva dell’agente, diverso da quello prescelto dal legislatore, in tema di fruizione della garanzia, fra i molteplici, diversi modelli dallo stesso legislatore adottati in relazione ad altre, diverse fattispecie ibidem, induce a lettura del dato normativo, appunto auspicata senza ulteriori indicazioni dal giudice costituzionale, che consente comunque di escludere che l’attribuzione della medesima prelazione ad una categoria professionale, gestita e organizzata in forma imprenditoriale piuttosto che singolarmente, necessariamente tradisca il principio di eguaglianza (v. in senso contrario Cass. n. 6481/2009 seppur in relazione a diversa problematica). E’ vero infatti che l’art. 2751 bis è stato introdotto nel Codice Civile dalla L. 29 luglio 1975, n. 426, art. 2, allo scopo, reso palese dai lavori preparatori, di attribuire ai crediti dei lavoratori autonomi una tutela di grado pari a quella già riconosciuta dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, ai crediti dei lavoratori subordinati, assegnando loro il primo posto nell’ordine di prelazione di cui all’art. 2778 c.c., avuto riguardo al fatto che il credito mira comunque a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore sia esso autonomo che subordinato, ma è vero anche che non viola il dettato costituzionale il previsto testuale collegamento tra il privilegio del credito dell’agente e la sua sola causa.

 

Occorrendo aver riguardo al mero esercizio di quell’attività, perde giuridico evidentemente significato la forma in cui essa venga esplicata. Ammessa pertanto la prelazione in favore dell’agente organizzato anche in forma societaria, l’inevitabile corollario esclude la necessità di un distinguo fra società di persone o di capitale, atteso che l’omogeneità causale del credito assorbe la verifica circa la preminenza del fattore organizzativo su quello personale o viceversa, ipotesi quest’ultima che omologherebbe l’attività espletata a quella delle altre categorie considerate.

 

Quel privilegio si applica insomma perchè afferisce a quel credito, ed allora non ha senso verificare la veste giuridica del suo titolare”.

 

4.3. – Può immediatamente osservarsi che questa sentenza in particolare – come del resto le altre che seguono l’orientamento assolutamente maggioritario -, da un lato, omette di considerare sia la specifica ratio decidendi – quale dianzi individuata (cfr., supra, n. 4.1.3.) – della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2000 sia la sua efficacia, dall’altro, ritiene di supportare la tesi maggioritaria con il richiamo alla precedente sentenza della stessa Corte costituzionale n. 55 del 1996 (come già dianzi segnalato con i riferimenti tra parentesi quadra).

 

Ed allora, è opportuno sottolineare che, con tale sentenza, la Corte, investita dalla Corte d’Appello di Genova – chiamata a decidere sulla collocazione di un credito vantato da una società a responsabilità limitata, agente, nei confronti del fallimento di una società per azioni circa il carattere privilegiato o no del credito vantato – della questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 2751 bis c.c., n. 3), “nella parte in cui non limita il riconoscimento del privilegio a favore dei crediti dell’agente all’ipotesi dell’agente-persona fisica ed a quella dell’agente-società di persone sempre che in tali società l’attività di agente sia direttamente svolta dagli agenti-soci ed il lavoro abbia funzione preminente sul capitale”, ha dichiarato “inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2751 bis c.c., n. 3, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.”.

 

La ragione della dichiarata inammissibilità si coglie dai due seguenti passaggi motivazionali.

 

Il primo: “… deve rilevarsi che – ancorchè lo scrutinio di costituzionalità sia consentito, come richiesto dal giudice a quo, all’interno di una specifica norma attributiva di un privilegio (sentenza n. 84 del 1992) – l’esame del merito è nella specie precluso da una liminare ragione di inammissibilità che risulta dalla stessa prospettazione dell’ordinanza di rimessione, la quale invoca una pronuncia additiva per restringere l’ambito della garanzia soltanto all’agente-persona fisica e all’agente-società di persone sempre che in tali società l’attività di agente sia direttamente svolta dagli agenti-soci ed il lavoro abbia funzione preminente sul capitale. Infatti il giudice a quo, formulando tale richiesta, non fa altro che proporre l’adozione di un modello normativo, correlato alla struttura soggettiva dell’agente, diverso da quello prescelto dal legislatore, in tema di fruizione della garanzia, fra i molteplici, diversi modelli dallo stesso legislatore adottati in relazione ad altre, diverse fattispecie”.

 

Il secondo: “Poichè – dunque – la pronunzia additiva richiesta dal giudice a quo per la rimozione del vulnus da lui denunziato risponderebbe comunque non ad una soluzione costituzionalmente obbligata, bensì ad una delle diverse soluzioni possibili, la questione come sopra proposta risulta inammissibile”.

 

Tale sentenza – a differenza di quella n. 1 del 2000 – è, dunque, annoverabile tra le sentenze pronunciate in osservanza della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 28, – secondo il quale “Il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento” -, non esprime alcuna decisione sul “merito” della questione così come prospettata e, perciò, non comporta alcun vincolo per i giudici comuni, se non quello, in caso di mera riproposizione della medesima questione nei medesimi termini, del rischio di provocare una pronuncia costituzionale di “manifesta inammissibilità”.

 

E’ vero, peraltro – come sottolineato dalla riprodotta sentenza di questa Corte n. 7433 del 2012 -, che anche in questa pronuncia la Corte costituzionale, affermando che il Giudice rimettente “non fa altro che proporre l’adozione di un modello normativo, correlato alla struttura soggettiva dell’agente, diverso da quello prescelto dal legislatore, in tema di fruizione della garanzia, fra i molteplici, diversi modelli dallo stesso legislatore adottati in relazione ad altre, diverse fattispecie”, sembra recepire la premessa interpretativa per cui la “lettera” dell’art. 2751 bis c.c., n. 3), si riferisce “non già ai soggetti titolari dei crediti, ma al tipo di credito …, con esclusione di qualsiasi considerazione di natura soggettiva” – premessa interpretativa sulla quale, va ribadito, si fonda essenzialmente il richiamato orientamento giurisprudenziale maggioritario di questa Corte -, ma è anche vero che proprio tale premessa interpretativa, assolutamente non scrutinata nel merito dalla sentenza n. 55 del 1996, è stata invece incisa dallo stesso Giudice delle leggi, sia pure limitatamente alle fattispecie di società di capitali che esercitano l’attività di agente, con l’interpretazione “adeguatrice” affermata con la sentenza n. 1 del 2000.

 

4.4. – Come già anticipato (cfr., supra, n. 4.1.3.), resta da stabilire quale efficacia abbiano le sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale per tutti i giudici comuni – diversi dal giudice a quo che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale oggetto di tali sentenze -, chiamati ad applicare, come nella specie, le disposizioni di legge ordinaria scrutinate dalla Corte, ovvero, in altri termini se sussista e quale sia il “vincolo” che eventualmente astringa tali giudici, ivi compresa quindi questa Corte, a sèguito di sentenze siffatte.

 

E’ noto che questo tema ha formato oggetto di risalente e vivacissimo dibattito sia nella dottrina sia nella giurisprudenza, di merito e di legittimità, segnatamente nella materia penale.

 

Il fondamento delle sentenze interpretative di rigetto sembra stare nell’affermazione – ormai costantemente ricorrente nella giurisprudenza costituzionale -, secondo cui, “In linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perchè è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perchè è impossibile darne interpretazioni costituzionali” (Corte costituzionale, sentenza n. 356 del 1996, n. 4. del Considerato in diritto; cfr. successivamente, ex plurimis, sentenza n. 49 del 2011, n. 4.5. del Considerato in diritto).

 

A ben vedere, tale principio risulta seguito anche dalla sentenza n. 1 del 2000: infatti, la Corte, di fronte alla “disposizione”, di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 3), – “Hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti: … 3) le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per l’ultimo anno di prestazione e le indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo” -, ha ritenuto la “norma” censurata dal giudice a quo – secondo cui detto articolo attribuisce natura privilegiata ai crediti per provvigioni e alle indennità dovute per la cessazione del rapporto di agenzia anche alle società di capitali che esercitano l’attività di agente – collidente con l’art. 3 Cost., precisando tuttavia che tale “norma” non è la sola desumibile dal testo codicistico e prospettando una diversa interpretazione – una diversa “norma”, appunto – conforme con il parametro costituzionale evocato e scrutinato – l’art. 3 Cost. -, anche perchè coerente con la complessiva ratio legis dell’art. 2751 bis c.c., inserito dalla citata L. n. 426 del 1975, art. 2.

 

Ciò posto, secondo la dottrina ormai prevalente, il vincolo che deriva, sia per il giudice a quo sia per tutti gli altri giudici comuni, da una sentenza interpretativa di rigetto – che, com’è noto, secondo il diritto positivo, non è assistita dall’efficacia vincolate erga omnes, di cui all’art. 136 Cost., comma 1, e L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 3, – è soltanto “negativo”, consistente cioè nell’imperativo di non applicare la “norma” ritenuta non conforme al parametro costituzionale evocato e scrutinato dalla Corte costituzionale, in quanto il generale dovere di tutti i giudici di interpretare le disposizioni di legge ordinaria secundum Consitutionem diviene ancora più stringente allorquando – come nella specie – l’interprete “ultimo” della Costituzione si sia già pronunciato al riguardo, nel merito, sia pure con una sentenza fondata su una diversa interpretazione della disposizione censurata in senso conforme alla Costituzione. Vincolo esclusivamente “negativo” appunto, tale da non ledere la “libertà” dei giudici di interpretare ed applicare la legge (art. 101 Cost., comma 2) e, conseguentemente, neppure la funzione di nomofilachia attribuita alla Corte di cassazione dall’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario.

 

Vincolo soltanto “negativo” inoltre, tale da non precludere la possibilità di seguire, nel processo a quo o in altri processi, “terze interpretazioni” ritenute compatibili con la Costituzione, oppure di sollevare nuovamente, in gradi diversi dello stesso processo a quo o in un diverso processo, la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione oggetto della pronuncia interpretativa proprio sulla base della interpretazione – ritenuta corretta o l’unica possibile – rifiutata dalla Corte costituzionale (la quale “giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni”: cfr.

 

Corte costituzionale, sentenza n. 84 del 1996, n. 4.2.1. del Considerato in diritto), eventualmente evocando anche parametri costituzionali diversi da quello precedentemente indicato e scrutinato.

 

Questo, del resto, è l’orientamento generalmente condiviso anche dalla sezioni semplici di questa Corte. L’interpretazione cosiddetta “adeguatrice” della Corte costituzionale, infatti, “rappresenta, ove operata dal giudice delle leggi, un esito di merito del sindacato di costituzionalità, che non interferisce con il controllo di legittimità di questa Corte, ed ha un effetto vincolante per i giudici comuni (ordinario e speciali) – non esclusa questa stessa Corte – nel senso che essi non possono più accogliere proprio quell’interpretazione che la Corte costituzionale, seppur con una pronuncia di infondatezza della questione, ha ritenuto viziata, ma semmai possono risollevare la questione di costituzionalità, ove non intendano aderire all’interpretazione adeguatrice indicata dalla Corte, nè ad altra interpretazione che, seppur diversa, essi ritengano parimenti conforme a Costituzione. In tal senso si sono pronunciate le Sezioni Unite Penali di questa Corte (Cass. 24 settembre 1998, Gallieri; in senso conforme già Cass. 13 dicembre 1995, Clarke, nonchè – nella materia civile – Cass., Sez. 2^, 21 marzo 1990, n. 2326, e Cass., sez. lav., 30 luglio 2001 n. 10379) che hanno appunto affermato che i giudici diversi da quello del giudizio in cui è stata sollevata la questione di costituzionalità poi definita con pronuncia interpretativa non hanno altra alternativa che sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale, non potendo mai assegnare alla formula normativa un significato ritenuto incompatibile con la Costituzione” (così la sentenza della sezione lavoro n. 166 del 2004, n. 7.1. della motivazione in diritto, nonchè ex plurimis, in senso conforme, la sentenza n. 1581 del 2010 della medesima sezione).

 

4.5. – Non essendo, perciò, precluso – dalla sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 1 del 2000 – il sindacato di legittimità della Corte di cassazione, tale sindacato non può tuttavia prescindere dall’interpretazione adeguatrice dell’art. 2751- bis, n. 3), cod. civ. indicata dal Giudice delle leggi: si tratta, cioè, di decidere se detta interpretazione conforme all’art. 3 Cost.

 

sia anche la più corretta alla luce del sistema legislativo vigente e delle stesse pronunce di questa Corte sull’art. 2751 bis c.c..

 

E’ senz’altro vero che, fra le diverse disposizioni contenute in tale articolo, quella di cui al n. 3 è l’unica che non fa riferimento ai soggetti titolari dei crediti assistiti dal privilegio generale sui mobili (“le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia”). Ed è anche vero che la legislazione vigente consente l’esercizio dell’attività di agente anche nella forma societaria (cfr. il combinato disposto degli artt. 6 della legge n. 204 del 1985, 74 del D.Lgs. n. 59 del 2010, e D.Lgs. n. 147 del 2012, art. 12, già citate).

 

Ma – se, a quest’ultimo riguardo, è ovvio notare che la legittimità dell’esercizio dell’attività di agente in tale forma non incide assolutamente, per ciò soltanto, sulla questione della spettanza del privilegio relativamente ai crediti verso il preponente nascenti dal rapporto d’agenzia, diversi essendo i presupposti specificamente richiesti dall’art. 2751 bis c.c., n. 3), – l’interpretazione meramente letterale di tale disposizione, considerata isolatamente rispetto a tutte le altre contenute nel medesimo articolo, collide palesemente con la ratio complessiva dell’art. 2751 bis (aggiunto dalla menzionata L. n. 426 del 1975, art. 2), che è determinante nell’individuazione anche del contenuto precettivo del n. 3), tenuto segnatamente conto della natura “eccezionale” e, quindi, “derogatoria” rispetto al principio generale della par condicio creditorum, delle norme del codice civile che stabiliscono privilegi in favore di determinati crediti (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 9205 del 1999, 5297 del 2009 e 2320 del 2012).

 

Come sottolineato dalla stessa Corte costituzionale, già da tempo questa Corte aveva esattamente individuato la ratio dell’art. 2751 bis, a seguito del suo inserimento ad opera della L. n. 426 del 1975, art. 2. Infatti, ad esempio, con la sentenza n. 8979 del 1993 – nell’enunciare il principio, secondo cui il privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 5, rivolto a tutelare crediti assimilabili a quelli di lavoro, in quanto integranti corrispettivi di servizi prestati da imprenditori artigiani o da enti cooperativi di produzione e lavoro, non compete, con riguardo a servizi di trasporto, per i crediti che insorgano in favore di un consorzio di imprenditori di trasporto, il quale non espleti direttamente i servizi medesimi, ma si limiti a ripartirli con contratti di sub- trasporto fra i singoli consorziati, non rilevando l’eventualità che questi ultimi abbiano qualità di imprenditori artigiani – aveva affermato che i limiti previsti dall’art. 2751 bis, “anche alla luce dei lavori preparatori della citata L. n. 426 del 1975, nonchè del raffronto con le altre ipotesi contemplate dai nn. 1 – 4 (crediti del lavoratore subordinato od autonomo, dell’agente, del coltivatore etc.), evidenziano che obiettivo della norma è quello di assegnare un trattamento preferenziale ai diritti che abbiano natura di compensi di attività sostanzialmente lavorative, o comunque assimilabili alle attività lavorative, in quanto frutto prevalentemente dell’esplicazione delle risorse fisiche od intellettuali di una persona, od anche di più persone, inserite e coordinate in una determinata struttura organizzativa (cfr. Cass. n. 5640 del 21 ottobre 1980)”.

 

Comparando tale motivazione con quella della Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 2000 (cfr., supra, n. 4.1.2.: “… Sembra perciò difficile contestare che la ratio dell’intero art. 2751 bis c.c., sia quella di riconoscere una collocazione privilegiata a determinati crediti in quanto derivanti dalla prestazione di attività lavorativa svolta in forma subordinata o autonoma e, perciò, destinati a soddisfare le esigenze di sostentamento del lavoratore …”), è evidente la sostanziale consonanza delle posizioni nell’individuazione della ratio legis.

 

Questa linea interpretativa, fondata sulla così individuata ratio della novella del 1975 – ribadita, ex plurimis e fra le ultime, dalla sentenza n. 23491 del 2011 (che richiama anche la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2000), è stata sostanzialmente seguita da molteplici pronunce successive alla sentenza costituzionale, sia pure emesse in fattispecie diverse da quella di cui all’art. 2751 bis, n. 3, (cfr., ad esempio, ex plurimis, le sentenze nn. 17996 e 12012 del 2011), nelle quali, conformemente a detta ratio, i criteri per il riconoscimento della prelazione ai crediti considerati da tale articolo discendono sempre da applicazioni specifiche del principio costituzionale di tutela del lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, di cui all’art. 35 Cost., comma 1, che – com’è noto – si riferisce non soltanto al lavoro subordinato, tipico od atipico, ma anche a quello parasubordinato ed a quello non subordinato (professionisti, artigiani, componenti di imprese familiari, soci di cooperative, etc.), come pure, nei casi dubbi, il criterio della “prevalenza” o della “preminenza” del fattore lavoro rispetto al capitale.

 

Per contro – quantomeno in linea generale -, nelle società di capitali costituite secondo le forme tradizionali, come nella specie, le somme che rappresentano il corrispettivo dell’attività prestata (nella specie, provvigioni per lo svolgimento dell’attività di agente) attraverso le persone che operano per la società spettano a questa e non al socio e costituiscono non già un compenso del lavoro prestato ma una eventuale remunerazione del capitale conferito, sicchè le provvigioni spettanti a società siffatte, che esercitino l’attività di agente, risolvendosi in “utili” di tale attività di impresa, sono crediti estranei rispetto alla complessiva ratio giustificatrice della prelazione riconosciuta dall’art. 2751 bis c.c., n. 3.

 

4.6. – A conclusione dell’esame del primo motivo del ricorso principale, può pertanto essere enunciato il seguente principio di diritto: la disposizione, di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 3), inserito dalla L. 29 luglio 1975, n. 426, art. 2, (Modificazioni al codice civile e alla L. 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi) – secondo la quale “Hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti: … 3) le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per l’ultimo anno di prestazione e le indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo” -, deve essere interpretata, in conformità con l’art. 3 Cost., ed in sintonia con la ratio dello stesso art. 2751 bis c.c., nel senso che il privilegio dei crediti ivi previsto non assiste i crediti per provvigioni spettanti alla società di capitali che eserciti l’attività di agente.

 

5. – Applicando tale principio alla fattispecie, ne consegue, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, l’annullamento della sentenza impugnata, nella parte in cui, con il rigetto dell’appello principale della Liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. Sanremo Assicurazioni e Riassicurazioni, ha confermato l’opposto principio affermato dalla sentenza di primo grado.

 

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la relativa causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nel senso di ammettere allo stato passivo della Liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. Sanremo Assicurazioni e Riassicurazioni il credito della s.r.l. Di Bella Assicurazioni pari a L. 67.411.115 (Euro 34.815,00), derivante dal rapporto di agenzia intrattenuto dalla Società Di Bella con la Società Sanremo, riconoscendo allo stesso credito collocazione chirografaria.

 

6. – Il secondo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale non meritano accoglimento.

 

Quanto al primo – concernente, in sostanza, la contestata ammissione al passivo della somma di L. 67.411.115 -, lo stesso è in parte inammissibile ed in parte infondato: inammissibile, nella misura in cui la ricorrente principale non sottopone a critica specifica la ratio decidendi della sentenza impugnata e pretende, a ben vedere, una nuova valutazione del materiale probatorio da parte di questa Corte, notoriamente precluso in sede di legittimità; infondato, nella misura in cui la Corte di Roma, con motivazione corretta e priva di errori logico-giuridici, ha esplicitamente affermato che le condivise conclusioni del consulente tecnico d’ufficio trovano riscontro nelle scritture contabili della Società Di Bella regolarmente tenute, mentre l’appellante principale non ha fornito al consulente i libri obbligatori richiesti, gli estratti conto bancari e la documentazione contabile utile, con la conseguenza che le scritture contabili della Società Di Bella fanno prova ai sensi dell’art. 2710 c.c., tenuto anche conto che la controparte, nella sede tecnica e nel giudizio di primo grado, ha contestato solo in modo generico le poste non riconosciute.

 

Quanto al ricorso incidentale della Società Di Bella – concernente la mancata ammissione al passivo dell’ulteriore credito di L. 57.921.836, derivante dalla dedotta estinzione del corrispondente debito da rivalsa della Società Di Bella verso la Società Sanremo per l’acquisizione del portafoglio del precedente agente, in forza dell’art. 37, comma 3, dell’accordo nazionale agenti assicurativi, che esonera l’agente subentrante dal pagamento delle rate di rivalsa non ancora scadute in caso di scioglimento del contratto di agenzia – lo stesso è del pari in parte inammissibile ed in parte infondato:

 

inammissibile, nella misura in cui la ricorrente incidentale non ha specificamente censurato ambedue le rationes decidendi della sentenza impugnata che, da un lato, ha escluso che la Società Di Bella avesse documentalmente provato, nonostante le richieste del consulente di documentazione dello storno, l’esercizio della facoltà di avvalimento di detto esonero, dall’altro, ha affermato che, comunque, l’attuale sussistenza del debito era provata dalla sua appostazione nelle scritture contabili della stessa Società Di Bella; infondato, perchè – a prescindere dal contrasto di giurisprudenza determinatosi sulla questione dell’applicabilità o no dell’esonero nel caso di messa in liquidazione coatta amministrativa dell’impresa assicuratrice avente diritto a rivalsa nei confronti dell’agente subentrante (si vedano le contrastanti sentenze di questa Corte nn. 9987 del 1991 e 6404 del 1992), contrasto di giurisprudenza che non rileva nella specie – i Giudici a quibus, con motivazione corretta e priva di errori logico-giuridici, hanno comunque affermato che l’esistenza del debito da rivalsa a carico della Società Di Bella era attestato “proprio dall’appostazione nelle scritture contabili di tale Società di detto debito”.

 

7. – Il contrasto di giurisprudenza sulla questione principale e la residua, reciproca soccombenza delle parti integrano giusti motivi per dichiarare integralmente compensate le spese dell’intero giudizio.

 

P.Q.M.

 

Riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale;

 

rigetta il secondo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, ammette allo stato passivo della Liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. Sanremo Assicurazioni e Riassicurazioni il credito della s.r.l. Di Bella Assicurazioni, pari a L. 67.411.115 (Euro 34.815,00), in chirografo.

 

Compensa le spese dell’intero giudizio.

 

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 9 aprile 2013.

 

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2013

 

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